Siria, la caduta di Assad rafforza Erdogan. Ma per la Turchia c’è il dilemma al-Jolani

dic 8, 2024 0 comments


Di Andrea Muratore

La Turchia di Recep Tayyip Erdogan ce l’ha fatta, tredici anni dopo e al termine di molti cambi di rotta: la caduta del regime siriano di Bashar al-Assad era un obiettivo del Reis all’inizio del conflitto nel Paese confinante ed è tornato ad esserlo in dieci giorni dopo che Ankara aveva detto e fatto il contrario.

Erdogan nel 2012 aveva dichiarato la volontà di arrivare “presto” a pregare nella Moschea omayyade di Damasco, ha sostenuto la ribellione dell’Esercito Siriano Libero, ha occupato il cantone di Afrin e consolidato la sacca di Idlib per permettere alle milizie anti-Assad di consolidarsi, ha mantenuto fino al 2020 il rovesciamento di Assad come obiettivo prioritario, si è accordato con Russia e Iran per gestire la territorializzazione delle influenze nel Paese e da ultimo ha cavalcato la corsa su Aleppo, Homs e Damasco dell’opposizione poco dopo aver cercato un modus vivendi con Assad.

Erdogan passa il Rubicone e spinge la caduta di Assad

Solo pochi mesi fa Erdogan era passato da incendiario a pompiere, invocando l’unità del mondo islamico contro le minacce di Israele intenta a bombardare Palestina e Libano. Addirittura, aveva invocato la lotta contro la minaccia di Tel Aviv all’unità del Paese, ritenendo “essenziale che Russia, Siria e Iran prendano delle contromisure efficaci contro questa situazione“.

Ironia della sorte, un mese dopo le sue parole a favore dell’unità della Siria, Erdogan ha avallato l’offensiva dell’Esercito Nazionale Siriano e di Hay’at Tahrir al-Sham avente l’obiettivo di riconquistare Aleppo. Dato un primo calcio all’edificio fatiscente del regime tutto è collassato rapidamente. E così la Turchia, che inizialmente mirava a far pressione su Assad per imporre delle condizioni di fine della guerra che dessero spazio ai suoi alleati, ha al tempo stesso avallato e subito gli eventi. Avallato, perché la finestra d’opportunità è stata sfruttata su più fronti: espandere le posizioni delle milizie, far pesare a Russia e Iran il collasso del regime assadista, acquisire posizioni geostrategiche all’ombra della Nato e mettere sotto pressione Israele.

Tel Aviv ha bombardato le forze iraniane, i loro alleati e le milizie siriane dal 7 ottobre 2023 in avanti, contribuendo all’indebolimento di Assad. Ora la prospettiva di vedere uno Stato islamista alle porte del Golan occupato può essere sicuramente benzina per la propaganda da regime assediato di Benjamin Netanyahu e del suo governo ma pone indubbie questioni securitarie, tanto che l’Israel Defense Force ha mosso i suoi carri armati nella zona cuscinetto di confine. La Turchia ottiene il triplice obiettivo di espandere la sua zona di difesa in profondità, di avere un amico a Damasco e di consolidare lo spazio d’azione geostrategico passante anche per l’Iraq, con cui sono attivi corridoi e accordi geoeconomici, ma tutto questo deve essere letto alla luce del ruolo che nella Siria di domani avranno Hay’at Tahrir al-Sham e Abu Mohammad al-Jolani.

L’incognita al-Jolani

L’ex membro di Al-Qaeda in Iraq divenuto signore della guerra è l’uomo forte della coalizione anti-Assad, e non è direttamente appoggiato dai turchi, che pure gli hanno dato appoggio d’intelligence e logistica. La speranza di Erdogan è che una Siria governata dai militanti consenta gli scenari securitari e la pressione a Israele di cui si è detto, il rientro degli oltre 3 milioni di profughi stanziati in Turchia che stanno diventando un problema politico e il contenimento alle Forze Democratiche Siriane (Sdf) curde ritenute terroriste da Ankara con cui i ribelli filo-turchi hanno scambiato colpi.

Ebbene, al-Jolani e i suoi possono destabilizzare molti scenari in tal senso. Da un lato, nota il Council of Foreign Relations, sul tema profughi qualora i jihadisti non mostrassero la compattezza dei primi dieci giorni e compissero violenze nelle aree occupate “la prospettiva di nuovi flussi di rifugiati innescati dal comportamento di Hts e il conseguente caos causato dal crollo del regime sono una seria possibilità”, dato che “la prospettiva di nuovi flussi sarebbe particolarmente preoccupante”. Ma al contempo per Erdogan ancora più grande “è la paura che i curdi siriani possano stringere un accordo con qualsiasi governo centrale a Damasco per ottenere uno status autonomo, proprio come hanno fatto i curdi iracheni dopo la guerra in Iraq”. 

Qualora al-Jolani decidesse di saltare il fosso e stringere le mani al Rojava, per Erdogan le aspirazioni di dominazione sulla Siria sarebbero decisamente ridimensionate. E dunque anche Ankara prima di cantare, definitivamente, vittoria deve aspettare: del resto, un accordo coi curdi prefigurerebbe una mano tesa agli Stati Uniti, che rimetterebbero così piede nel Paese levantino. Gli scenari sono in movimento. Ma una cosa è certa: Erdogan, anche nelle esternazioni più radicali, va preso sul serio. Sulla Siria, alla fine, ce l’ha fatta. Ma non è detto che possa godersi il risultato in un contesto che vede la Turchia circondata da un estero vicino in fiamme.

FONTE: https://it.insideover.com/guerra/la-caduta-di-assad-rafforza-erdogan-ma-per-la-turchia-ce-il-dilemma-al-jolani.html

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