Come finì la luna di miele tra Arafat e Khomeini e come questo ha cambiato la lotta dei palestinesi

ott 9, 2024 0 comments


DFrancesca Salvatore

Nel caos generale che il conflitto arabo -israeliano, che tiene in ostaggio il Medio Oriente dal 1948 (anzi, da prima), cogliere le sfumature è fondamentale. Così come le parole solo importanti. Sta di fatto che la questione palestinese-e la relativa lotta, oggi sono ammantate da una cappa di fondamentalismo: non a caso Hamas viene annoverata non solo tra le organizzazioni terroristiche ma anche di tipo islamista (ricordiamolo: islamista e islamico hanno due significati distinti!).

Non sempre è stato così. Nonostante la lotta armata sia stata la via prevalente della battaglia palestinese, l’elemento fondamentalista si è aggiunto nel corso del tempo e vede le sue radici più ad Est, in Iran. Nel 1948 gli arabi fuggiti dai territori occupati erano un popolo disperso: da questa diaspora nacquero una serie di piccoli movimenti, soprattutto dopo il 1956, e fra questi acquistò un certo rilievo Al Fatah, guidata da Yasser Arafat. Nel 1964, sotto la sigla onnicomprensiva dell’OLP, si ricompattarono le correnti del mondo palestinese, con Al Fatah a guida del movimento. I campi dei rifugiati palestinesi divennero la palestra della militanza anti-israeliana costituita dai fedayin dell’OLP.

Dall’altra parte c’era l’Iran. Il secondo Paese a maggioranza musulmana a riconoscere Israele come Stato sovrano, dopo la Turchia. Nel periodo che va dalla fine degli anni Cinquanta alla guerra dei Sei Giorni, Israele visse una vera luna di miele con la leggendaria Persia: Tel Aviv ebbe un ruolo chiave nella formazione delle forze armate persiane, mentre Teheran accelerava la vendita di greggio a Israele. Se nel resto del mondo il montante antisionismo, conseguente alla nascita di Israele, causò la contro-diaspora verso la Palestina (la cosiddetta “alya“), gli ebrei iraniani insistettero nel restare dov’erano perché città come Teheran, Shiraz e Isfahan erano diventate nei secoli “casa” per circa 150mila ebrei.

Poi arrivò il grande abbaglio khomeinista. Il disegno politico dell’ayatollah, infatti, virò gravemente verso la costituzione di una Repubblica di stampo islamico, coltivando un forte sentimento sciita e il culto della lotta al “Grande Satana“, gli Usa. Il fascino di Khomeini abbagliò anche Arafat. La rivoluzione khomeinista rappresentava un elemento di destabilizzazione nell’area che rischiava di scatenare un pericoloso effetto domino su altre comunità islamiche. Il legame tra la causa palestinese – o meglio, l’OLP guidata da Arafat – e gli ayatollah si inserisce in questa fase. L’OLP nel corso degli anni Settanta aveva dato supporto ai ai nemici dello scià, utilizzando come centrale di addestramento il Libano sia per i mojahedin-e Khalq sia per i rivoluzionari pro-Khomeini, tra cui Mohammad Montazerimaître à penser del Corpo delle guardie rivoluzionarie. Fu lui a chiedere esplicitamente ad Arafat di spedire i miliziani dell’OLP in Iran a supporto delle IRGC.

L’Islam o è politico o nient’altro, amava ripetere l’ayatollah nella sua retorica suadente. E intanto, seguitava a soffiare sull’antisemitismo in patria e all’estero. Arafat fu il primo leader straniero a visitare la Repubblica islamica, accompagnato da un giovane Abu Mazen: era il febbraio del 1979 quando dichiarò che sarebbe andato a “casa sua“. Avendo sviluppato e coltivato anni di relazioni con tutte le principali forze, dai marxisti agli islamisti, che avevano rovesciato i Pahlavi, aveva buone ragioni per pensare che Teheran avesse un debito nei suoi confronti. Ma si sbagliava. Non solo Khomeini pretese di appiccicare ai palestinesi l’etichetta di movimento di “resistenza islamica“( l’OLP aveva ben altre aspirazioni che quelle teocratiche) ma iniziò a diffidare di Arafat, temendo volesse far politica in Iran. Il che era vero. Fin dall’inizio, Arafat cercò anche di trarre profitto dai suoi legami con il nuovo regime tentando, ad esempio, di mediare la crisi degli ostaggi dell’ambasciata statunitense: quando Arafat inviò uno dei suoi principali aiutanti, Abu Walid (Saad Sayel), a Teheran per mediare su richiesta degli americani, Khomeini si rifiutò di riceverlo.

La guerra Iran-Iraq consumò il divorzio fra i due creando due fronti oggi insospettabili. Arafat non poteva schierarsi con l’Iran e condannare l’Iraq, rischiando di inimicarsi i Paesi arabi del Golfo. A sostenere l’Iran giunse nientepopodimeno che Israele, con l’intento di fornire un contrappeso all’Iraq e ristabilire l’influenza persa con il rovesciamento dello scià. Di nuovo, Arafat provò a giocare su due tavoli: Khomeini non volle nemmeno riceverlo. Intanto, in Libano, la fazione rivoluzionaria iraniana dominante si stava mangiando la “Svizzera del Medio Oriente”. Nel 1982, quando l’OLP sarebbe stata sconfitta in Libano dalle forze israeliane, Hezbollah era già realtà. Nel 1989 Khomeini sarebbe morto, pochi mesi prima della caduta del muro di Berlino. Arafat gli sarebbe sopravvissuto tentando di barcamenarsi tra la lotta e il negoziato. Aveva provato a usare l’Iran per promuovere la causa palestinese, ma finì per essere usato a sua volta. Il resto è storia.

FONTE: https://it.insideover.com/politica/come-fini-la-luna-di-miele-tra-arafat-e-khomeini-e-come-questo-ha-cambiato-la-lotta-dei-palestinesi.html

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