I sondaggi elettorali più attendibili delle presidenziali Usa, stando al trend storico consolidato, stanno segnalando dopo la fine della convention del Partito Democratico Usa una tendenza che portan al rimbalzo di Donald Trump contro Kamala Harris. Va riportato, in particolar modo, l’ultimo prospetto del sondaggista Nate Silver, titolare del portale FiveThirtyEight, che prende il nome dal numero di grandi elettori di cui consta il collegio che elegge il presidente negli Usa, che nella giornata dell’1 settembre ha comunicato un primo, significativo distacco a favore di The Donald.
Trump, stando all’analisi di Silver, avrebbe ad oggi il 55,1% di possibilità di conquistare il collegio elettorale a novembre sfondando il numero-soglia di 270 delegati, contro il 44,6% di possibilità associate a Harris su 40mila simulazioni che aggregano ai sondaggi di FiveThirtyEight tutte le altre rilevazioni maggiori ritenute immuni da vizi di eccessiva partigianeria in un senso o nell’altro.
Solo due settimane fa, alla vigilia della convention democratica, la situazione si è ribaltata: Harris, che ha sostituito Joe Biden come candidata dopo il ritiro dalla corsa del presidente il 21 luglio scorso, era accreditata del 56,7% di possibilità contro il 42,7% di The Donald. Ad oggi, dei sei Stati in bilico decisivi per l’elezione del presidente conquistati da Biden contro Trump nel 2020, il 45esimo inquilino della Casa Bianca è in testa in Arizona, Nevada, Georgia e Pennsylvania, mentre Harris vincerebbe in Michigan e Wisconsin.
Harris, in quest’ottica, ha beneficiato di una breve luna di miele con l’elettorato sulla scia di una narrazione positiva che ha costruito, attorno alla vicepresidente, l’immagine della statista che rare volte si è dimostrata essere al fianco di Joe Biden nei tre anni e mezzo di governo democratico. A onor di Biden, presentato come la zavorra di cui i Dem dovevano liberarsi per competere nonostante i milioni di voti ricevuti alle primarie e il cui passo indietro è stato addirittura presentato come necessario a difendere la democrazia in America, va detto che il risultato di Harris consolidato dopo un mese dalla discesa in campo e dopo la fine dell’attenzione della fase congressuale è peggiore di quello di Biden.
Alla vigilia dell’attentato a Trump del 13 luglio scorso, infatti, The Donald e il suo successore che l’aveva sconfitto nel 2020 erano sostanzialmente pari. Il modello di Silver, che non misura il consenso effettivo in termini di voti ma la probabilità che gli incroci negli Stati-chiave spostino gli equilibri per l’uno o l’altro candidato nel collegio elettorale, davano Trump leggermente avanti, col 51% di possibilità di vittoria, ma Biden a un’incollatura, col 49%. Una partita apertissima.
Cosa può pesare nel rapido manifestarsi e ancor più rapido esaurirsi dell’effetto Harris? Forse, in fin dei conti, il fatto che questo effetto era puramente narrativo. Bastino a definirne i connotati le parole pronunciate dalla giornalista Oprah Winfrey ai margini della Mostra del Cinema di Venezia. Oprah, esponente d’eccellenza dell’intellighenzia progressista Usa, pur rifiutando l’idea che sia solo la rabbia a veicolare il consenso a Trump, ha presentato Harris come una candidata che ha “restituito la speranza”. A chi, però, è bene sottolinearlo. A una popolazione americana verso cui, va detto, l’agenda Biden si era cercata di rivolgere o a un establishment che ormai aveva deciso di rottamare l’ex vice di Barack Obama?
La Convention del Partito Democratico, del resto, ha mostrato che molte contraddizioni nella formazione di governo non sono sanate: che linea terrà un’eventuale presidenza Harris verso la minoranza interna più radicale? Che posizioni prendere su temi ampiamente divisivi nella società Usa come i diritti civili? E che pesò avrà la “rivolta” della base più a sinistra per l’acquiescenza di Harris sulla linea attendista tenuta sul conflitto a Gaza? Harris non ha dato risposte. Così come ne ha date poche ed elusive all’incalzante Dana Bash, giornalista della Cnn a cui ha rilasciato la prima intervista dopo la nomination assieme al candidato vice Tim Walz. Mostrandosi poco capace di delineare la sua agenda politica per un eventuale “giorno uno” della sua presidenza. Qualcosa che Biden, pur debilitato, riusciva invece a mantenere, con tutti i suoi limiti. Da qui alla fine dell’effetto-ottico Harris il passo è breve. E dare le presidenziali chiuse già in estate è una narrazione rischiosa e che si scontra con sondaggi in continua evoluzione.
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