Il numero di copie distribuite e vendute dai principali quotidiani italiani continua a crollare: è quanto emerge dai dati forniti dalla società Accertamenti Diffusione Stampa (ADS), la quale certifica la diffusione delle copie dei giornali nel nostro Paese. Secondo le statistiche, nei primi sei mesi del 2024 è stato registrato un brusco calo in quasi tutte le voci, e tra le peggiori figura il settore cartaceo, che anche quest’anno si conferma con un trend significativamente in discesa rispetto agli anni precedenti. Inoltre, i dati rilasciati dalla Federazione delle Concessionarie di Pubblicità mostrano che anche gli investimenti in pubblicità legale sarebbero calati a picco, e il fatto che ciò sia avvenuto nello stesso anno in cui non è stato rinnovato l’obbligo per le amministrazioni pubbliche di comprare spazi sui giornali per le comunicazioni sembra sollevare interrogativi non indifferenti riguardanti gli “aiuti di stato” all’editoria.
Secondo i dati rilasciati da ADS e loro successive elaborazioni, nei primi sei mesi del 2024 l’aggregato delle testate quotidiane ha venduto mediamente 1,37 milioni di copie al giorno, dato che però tiene conto di tutte le voci di vendita (cartacee, abbonamenti e copie digitali) e che risulta in forte calo rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, ovvero quando le copie medie vendute erano circa 1,48 milioni (ovvero circa l’8% in più). Se poi si dirige l’occhio verso il numero di distribuzioni effettuate anche nel 2021 e nel 2022, è possibile accorgersi che negli ultimi quattro anni la quota sta diminuendo del 7,7% circa, il che significa che, se questo trend dovesse essere mantenuto, entro 10 anni il numero di copie distribuite potrebbe persino dimezzarsi rispetto al numero attuale. Inoltre, per la prima volta è stato registrato un valore inferiore al milione per quanto riguarda il venduto in edicola: 942.000 copie medie con una flessione del 10% rispetto all’anno precedente e del 27% solo rispetto al 2021.
Per quanto riguarda le principali testate nazionali, sia il Corriere della Sera che la Repubblica, il Sole 24 Ore e La Stampa hanno registrato un netto calo delle vendite giornaliere, e il dato risulta ancora più marcato per quanto riguarda le copie cartacee: Corriere della Sera -10%, la Repubblica -8,5%, il Sole 24 Ore -10,2% e La Stampa -13,2 punti percentuali. Il Fatto Quotidiano sembra essere l’unica grande testata ad aver resistito nei primi mesi del 2024, visto che ha registrato un +5,3% rispetto all’anno precedente (anche se il trend risulta comunque in diminuzione rispetto al 2021), mentre sia La Verità che il Giornale e Libero hanno registrato sia cali nelle distribuzioni totali che in quelle della carta stampata, che si attestano rispettivamente al -15%, -6,4% e -13,3 punti percentuali. Nonostante il trend non basti a coprire l’emorragia generale riguardante il calo totale delle vendite, sono state riscontrate discese più attenuate o addirittura crescite nell’ambito delle copie digitali. Per esempio, il Corriere della Sera ha registrato solo un -2% per quanto riguarda le copie digitali economiche mentre un +42% per le vendite delle versioni digitali a prezzi maggiori. Tuttavia, le altre testate non sembrano passarsela altrettanto bene visto che edizioni online sono comunque in discesa e, in quei pochi casi dove non lo sono – come in quello de il Fatto Quotidiano e la Repubblica – si tratta di copie digitali vendute ad un prezzo economico che può arrivare fino al 10% del prezzo intero.
Infine, come sottolineato dalla Federazione delle Concessionarie di Pubblicità, vi è il fatto che gli investimenti in pubblicità legale sui quotidiani sono passati dai 25,9 milioni di euro del 2023 ai 14,5 milioni dell’anno attuale, segnando una contrazione del 43,8%. Presumibilmente, è lecito pensare che la ragione sia la cancellazione dell’obbligo delle amministrazioni pubbliche di comprare spazi sui giornali per le comunicazioni delle proprie attività, decisa dal parlamento all’inizio di quest’anno. Tale dato, vista la portata e il fatto che sia stato registrato proprio in seguito al mancato rinnovo di un’importante fonte di investimenti, sembrerebbe quindi confermare la teoria per cui l’obbligo generava un prezioso contributo pubblico per i giornali e quindi un “aiuto di stato”, oltre che al fatto che quasi la metà di quelle comunicazioni erano determinate dall’obbligo e non da una reale considerazione di necessità da parte delle amministrazioni pubbliche.
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