Nella calda estate della geopolitica globale c’è spazio anche per una dinamica diplomatica riguardante il regime dei Talebani, i quali passo dopo passo stanno consolidando tanto il controllo sull’Afghanistan, riconquistato definitivamente tre anni fa col ritiro della coalizione occidentale in campo dal 2001, quanto la loro appetibilità per molti Paesi. Tra questi, è da segnalare l’attenzione crescente che verso Kabul sta arrivando dagli Emirati Arabi Uniti.
L’ambasciatore dei Talebani accolto a Abu Dhabi
Nelle scorse settimane le autorità di Abu Dhabi hanno formalmente accettato le credenziali dell’ambasciatore afghano, Badruddin Haqqani. Gli Emirati Arabi Uniti riprendono una trama già tessuta tra il 1996 e il 2001, quando assieme a Pakistan e Arabia Saudita furono gli unici Stati al mondo a dare all’Emirato Islamico un sostanziale riconoscimento diplomatico. Certo, la monarchia dei Bin Zayed è molto cambiata da allora. Negli Anni Novanta gli Emirati Arabi Uniti erano una delle fiorenti nazioni petrolifere che cavalcavano il boom generato dalla globalizzazione e dai commerci per rafforzare i loro traffici col greggio. Ora sono una piattaforma economico-finanziaria centrale per gli equilibri planetari e un Paese che intrattiene floride relazioni con Stati Uniti, Cina, Russia, India e altri attori. Un “Paese-ponte” come pochi altri, quali la Turchia, possono ambire ad essere nelle crepe della geopolitica globale. Ed essere pontieri impone, in questa fase, una pragmatica dose di realismo.
Lo scomodo problema di trattare coi Talebani
I Talebani, tre anni dopo la riconquista dell’Afghanistan, possono (a nostro avviso, devono) indubbiamente essere criticati e messi sotto pressione per l’autoritarismo interno, la repressione del dissenso e la stretta della legge basata sulla Sharia sui sempre più compromessi diritti delle donne. L’approccio fondato unicamente sull’ignorare, come se non esistesse, il regime e colpire l’Afghanistan con sanzioni che non ne scalfiscono la base d’appoggio si è però ampiamente rivelato politicamente fallace, perlomeno sul fronte occidentale.
Ne consegue che oggi l’Afghanistan talebano rischia di diventare una terra senza legge, un santuario del terrorismo e una florida base d’appoggio per gruppi militanti. “L’Onu ha stimato che centinaia di membri di al-Qaeda siano in Afghanistan insieme ad altri militanti di formazioni come il partito islamico Uyghur Turkistan”, ha ricordato il Financial Times.
Per la sicurezza la minaccia più pericolosa resta comunque l’Isis-K, i cui miliziani si sono dimostrati capaci di colpire anche in Iran e Russia nel 2024. Per questo gli Emirati Arabi Uniti, che scommettono sulla connettività via Oceano Indiano e Medio Oriente e sulla sicurezza della regione, hanno accettato la credenziale dell’ambasciatore talebano: riaprire il dibattito sul tema della sicurezza serve a capire se e quanto l’attuale Afghanistan sia capace di reinserirsi politicamente come attore stabile nella regione. “Molti paesi della regione, in particolare quelli dell’Asia centrale , si sono impegnati con i talebani su un piano molto pragmatico per garantire la sicurezza ai loro confini e la sicurezza ideologica oltre i confini”, ha scritto l’Observer Research Foundation.
Sicurezza al centro
La sicurezza è presupposto della capacità d’agire. Abu Dhabi, forte di importanti risorse economico-finanziarie e di una proiezione diplomatica e militare, vuole condizionare in profondità l’agenda dei Talebani evitando, inoltre, che diventino sostanziali satelliti di altri attori, nota l’Orf. La leva economica appare decisiva: “Una serie di accordi tra gli Emirati Arabi Uniti e i talebani nel 2022 per la gestione dei principali aeroporti del paese da parte dei primi è stata vista come un momento importante per il desiderio degli Emirati Arabi Uniti di avere una maggiore presenza e, per associazione, influenza in una Kabul post-americana. Il fatto che i principali contendenti nello spazio dell’aviazione civile fossero Qatar e Turchia evidenzia questa piccola ma notevole lotta di potere”.
Il risultato è che, oggigiorno, in Asia Centrale c’è una diplomazia al lavoro. Di cui, piaccia o meno, prima o poi bisognerà prendere atto: l’Afghanistan è nell’attenzione di chi vuole proiettare influenza nelle profondità del continente e i Paesi occidentali devono osservare con attenzione i giochi diplomatici in atto per comprendere come diversi attori si stiano adoperando per andare oltre il solo atteggiamento “sanziona e ignora”. Approfittandone, in certi casi, per fare affari in Afghanistan. Anche rifiutando la cooperazione economica con Kabul, è bene però ricordare che la sfida securitaria riguarda tutti: il mondo sa bene cosa abbia potuto significare, in passato, un Afghanistan poroso e terra di frontiera per i jihadisti di tutto il mondo. Ed è bene evitare che scenari come quello che ha portato all’11 settembre 2001 possano, in futuro, ripetersi.
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