La Germania ha messo in stand-by la consegna di armamenti a Israele dopo aver già contratto del 95% le forniture alle forze armate di Tel Aviv nei dieci mesi seguiti agli attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023. La notizia è emersa nella giornata del 18 settembre, mentre a Tel Aviv ancora si analizzavano i risultati degli attacchi a sorpresa tramite l’esplosione massiccia di cercapersone, walkie-talkie e altri dispositivi di Hezbollah in tutto il Libano.
Lo stop trapela dopo l’operazione in Libano
Si tratta del più importante stop alle forniture di armi assieme a quello avviato dal primo ministro britannico Keir Starmer, che nelle sue prime settimane di governo ha fortemente ridimensionato l’appoggio di Londra a Tel Aviv.
Lo stop della Germania, secondo quanto rivelato da Reuters, sarebbe dovuto al fatto che le cause legali potenzialmente scatenabili dalla cessioni di armi a Israele avrebbero potuto rendere oneroso il processo. “Una fonte vicina al ministero ha citato un alto funzionario governativo, il quale ha affermato di aver sospeso i lavori per l’approvazione delle licenze di esportazione di armi verso Israele in attesa della risoluzione dei casi legali che sostenevano che tali esportazioni dalla Germania violavano il diritto umanitario”, ricorda il Jerusalem Post.
Sintomatico, però, che la notizia emerga proprio nelle ore in cui l’uno-due di Israele pone più fortemente che mai il tema dell’allargamento del conflitto di Gaza. E che il governo di Olaf Scholz, che in virtù del percepito debito morale della Germania verso Israele ha chiuso più di un occhio nel primo anno di guerra sull’escalation a Gaza, si sia affrettato a comunicare che in realtà l’export non solo era stato congelato in questa fase ma si stava contraendo da tempo.
Berlino segue Londra
I funzionari del Ministero dell’Economia hanno ricordato che l’export di armi tedesche a Israele si è contratto dai 324,5 milioni di euro del 2023 ai circa 14 milioni di quest’anno nel periodo gennaio-agosto, di cui solo 32.449 euro nella categoria “armi da guerra”. Un’inezia, insomma. Fatto a cui il Governo Scholz ha aggiunto il dettaglio che nessuna nuova licenza di export è stata approvata dal Consiglio Federale di Sicurezza, l’organo che coordina le strategie di sicurezza nazionale a Berlino, da marzo a oggi. Ovvero di non averlo fatto nella fase in cui la strategia del governo di Benjamin Netanyahu, incentrata sul dilemma dell’occupazione di Rafah, si è fatta sempre più ostile a una soluzione sostenibile per la guerra.
Una sconfessione totale, che colpisce per l’appello a quel diritto umanitario a cui spesso Berlino si è ben guardata dall’inchiodare Tel Aviv, arrivando addirittura a fare muro contro la causa per genocidio intentata dal Sudafrica di fronte alla Corte di Giustizia Internazionale. Ma anche Scholz, come Starmer, ha alla lunga preso posizione. E, va ribadito, il timing è tutto fuorché casuale. Iniziano a moltiplicarsi i casi di distacco dalla mano libera totale concessa dai Paesi europei a Netanyahu nella prima fase della guerra. E proprio mentre l’operazione di Israele contro Hezbollah prefigura tanto la prospettiva di un ampliamento della guerra quanto l’entrata della regione mediorientale in un territorio inesplorato, la Germania si distacca dallo stretto alleato israeliano.
Israele perde un terzo dell’import?
Uno schiaffo rumoroso: come ricordato da Deutsche Welle, “il 99% delle importazioni di armi per Israele tra il 2019 e il 2023 proveniva dagli Stati Uniti (69%) e dalla Germania (30%)”, secondo fornitore dello Stato ebraico. I dispositivi spediti a Israele nel 2023 “includono 3.000 armi anticarro portatili, 500.000 proiettili per armi da fuoco completamente o semi automatiche, nonché altre micce e propellenti. Gran parte degli oltre 300 milioni di euro è stata spesa per veicoli blindati, camion militari e vetri di sicurezza”. Il dietrofront era stato programmato nel silenzio, da tempo, senza che Scholz trovasse la forza per esplicitarlo. Ora, attraverso fughe di notizie ben orchestrate, arriva ai media la conferma che Berlino, con Londra, sta di fatto rifiutando di armare Israele. Ovvero di avallare la sua strategia apertamente rischiosa per la stabilità mediorientale e dell’intera architettura di potere globale.
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