Di Pasqualino Trubia
C'è qualcosa di tremendamente sbagliato sull'analisi fatta in un recente articolo del New York Times che definisce il Sud Sardegna “selvaggio, bello e ignorato”. Questa narrativa romantica e semplificata degli americani verso ciò che percepiscono come “selvaggio” inizia a diventare più stanca e stereotipata di un vecchio vinile graffiato.
Immaginate Laura Rysman, giornalista del NYT, aggirarsi per le strade di Cagliari con gli occhi di chi scopre un mondo nuovo, descrivendo con un entusiasmo quasi puerile le esperienze culturali, ambientali e gastronomiche che offre la regione. Ma cosa c’è di nuovo in questo? Il ritornello è sempre lo stesso: gli americani scoprono un angolo remoto del mondo, lo etichettano come “selvaggio” e si congratulano per aver scovato un tesoro nascosto. Che originalità! Non fraintendetemi, la Sardegna è indubbiamente meravigliosa, con le sue spiagge incontaminate e i suoi paesaggi mozzafiato. Ma questo racconto paternalistico, che sembra quasi una lezione di scoperta data da chi viene da un paese che ha reso il selvaggio un parco giochi per ricchi, è francamente urtante.
Gli Stati Uniti, con i loro deserti urbani e le terre spopolate dal progresso forzato, dovrebbero forse guardare in casa propria prima di elogiare o etichettare altre culture. Rysman parla di una Sardegna fragile, il cui patrimonio culturale dipende tanto dagli sforzi locali quanto dai visitatori rispettosi. Belle parole, certo.
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