Poche settimane fa Xi Jinping ha invitato i ricercatori cinesi ad intensificare l’innovazione in sei aree chiave del settore hi-tech, definendo quest’ultimo come il “campo di battaglia principale” nella rivalità tra le superpotenze. “Dobbiamo avere un maggiore senso di urgenza. Dobbiamo intensificare l’innovazione per occupare le vette più alte della competizione tecnologica per lo sviluppo futuro”, ha affermato Xi accendendo i riflettori sulla competizione, sempre più accesa, tra Cina e Stati Uniti.
Nella Grande Sala del Popolo di Pechino, per l’occasione gremita di circa 3.000 tra scienziati e ricercatori, Xi – affiancato dal resto del Comitato permanente del Politburo, e cioè il gotha della politica cinese – ha esposto le sue aspettative: la Cina deve avere “forti capacità nella ricerca di base e nell’innovazione originale”, innovare e “rimodellare l’ordine globale”.
Possiamo dire che l’auspicio di Xi è quasi realtà, nel senso che oggi, la Cina, è all’avanguardia in numerosi settori scientifici strategici. Quali? Il gigante asiatico è leader mondiale nelle scienze fisiche, nella Chimica e nelle scienze della Terra e ambientali. Il Dragone produce anche più brevetti di qualsiasi altro Paese (anche se molti riguardano modifiche incrementali ai progetti e non invenzioni veramente originali). “Il vecchio ordine mondiale della scienza, dominato da America, Europa e Giappone, sta giungendo al termine”, ha scritto il settimanale The Economist.
Scienza al potere
Fin da quando è salito al potere (1949), il Partito Comunista Cinese (PCC) ha sempre sperato di “salvare la nazione” affidandosi alla scienza. Per gran parte della storia moderna della Cina, questo ha coinciso con goffi tentativi di recuperare terreno rispetto all’Occidente, per lo più affidandosi all’aiuto dell’amico/nemico sovietico. Negli ultimi anni, tuttavia, la situazione è cambiata radicalmente.
Facendo tesoro della propria crescita economica Pechino è infatti riuscita a convogliare risorse chiave nel settore scientifico. In termini reali, la spesa cinese per ricerca e sviluppo è cresciuta di 16 volte dal 2000 ad oggi. Per il 2024, ad esempio, il Governo ha stanziato circa 98 miliardi di yuan (13,5 miliardi di dollari) per la ricerca di base (+13% rispetto al 2023).
Accanto alla disponibilità economica c’è però un altro pilastro da menzionare: l’azione della mano politica. Due esempi. Nel 2006, il PCC pubblicava un paper per spiegare come la scienza avrebbe dovuto svilupparsi nei successivi 15 anni. Da quel momento in poi, i progetti scientifici sarebbero stati inclusi nei piani di sviluppo quinquennali avallati dallo stesso Partito. In un documento di pianificazione statale risalente al 2016, invece, i decisori cinesi chiarivano che il loro Paese ambiva a diventare la “principale potenza scientifica al mondo”.
L’obiettivo del Dragone
A proposito di piani quinquennali, l’attuale, pubblicato nel 2021, mira a promuovere la ricerca nelle tecnologie quantistiche, nell’intelligenza artificiale, nei semiconduttori, nelle neuroscienze, nella genetica e nella biotecnologia, nella medicina rigenerativa e nell’esplorazione di “aree di frontiera”, come lo spazio profondo, gli oceani e i poli della Terra. L’ultima frontiera sponsorizzata dallo Stato coincide con le ricerche sulla biologia delle colture alimentari. Il solito PCC, non a caso, ha reso la ricerca agricola, che considera fondamentale per garantire la sicurezza alimentare del Paese, una priorità per gli scienziati.
Ricordiamo che le due bussole di Xi chiamano in causa la “modernizzazione del sistema industriale” e lo “sviluppo di alta qualità“, da conseguire attraverso il binomio scienza e istruzione. La parafrasi di tutto questo è semplice: il Governo cinese intende costruire un sistema economico, industriale e scientifico in grado di migliorare le condizioni nazionali, certo, ma anche di spingere l’intera umanità verso nuove frontiere tecnologiche.
A proposito di scuole e istruzione, secondo il Nature Index ci sono sei università cinesi nella top 10 mondiale dei migliori istituti. “Forse non sono ancora nomi familiari in Occidente, ma abituatevi a sentire parlare delle università di Shanghai Jiao Tong, Zhejiang e Pechino (Beida) allo stesso modo di Cambridge, Harvard e Zurigo”, ha scritto Foreign Policy.
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