La rete dei porti con cui la Cina cambia il commercio globale e fa tremare gli Usa

ago 13, 2024 0 comments


Di Federico Giuliani

L’hanno definito “la porta d’accesso ai mercati globali”. Il megaporto che sorgerà nelle acque profonde di Chancay, in Perù, a una settantina di chilometri a Nord della capitale Lima, potrebbe rappresentare la pietra miliare della mappa del commercio marittimo globale della Cina. Ma che c’entra Pechino? Il gigante asiatico investirà un totale di circa 3,6 miliardi di dollari in un progetto controllato per il 60% da China Ocean Shipping (Cosco), colosso statale cinese che gestisce oltre 300 terminal in 38 porti, non solo in Cina ma anche negli Emirati Arabi Uniti (Abu Dhabi), in Grecia (Pireo), in Belgio (Zeebrugge) e in Spagna (Valencia), e per il restante 40% dalla Volcan Compania Minera.

A Chancay, tra pellicani e pescatori abituati a muoversi su piccole barche di legno, prenderà dunque forma un porto fondamentale per il Dragone. Così importante che, in vista dell’inaugurazione del sito prevista a novembre, dovrebbe muoversi persino il leader cinese in persona, Xi Jinping, atteso in America Latina nel suo primo viaggio nel continente dopo la pandemia di Covid.

Già, perché grazie al porto di Chancay, i cui lavori sono in fase più che avanzata, gli scambi commerciali tra Asia e America del Sud (e viceversa) dovrebbero spiccare il volo, con tanto di enormi vantaggi per “clienti” lontani. Come il Brasile, ben felice di attingere allo scalo marittimo per accorciare i tempi di navigazione delle sue spedizioni, usufruendo di una via diretta attraverso il Pacifico per ricevere e inviare prodotti da e verso il continente asiatico. Brasilia, che negli ultimi giorni ha lasciato intendere di essere interessata ad aderire alla Nuova Via della Seta, impiega 50-55 giorni per trasportare le proprie merci, in parte congelate, verso l’Estremo Oriente; potrebbe vedere ridotta la durata del transito a soli 27 giorni via mare, più tre giorni su strada per raggiungere Chancay.

Porti a volontà

Nel 2013, Xi lanciava la Via della Seta marittima, la componente oceanica della Nuova Via della Seta, un piano volto a migliorare l’accesso della Cina ai mercati mondiali attraverso ingenti investimenti in infrastrutture di trasporto.

In quel periodo, Pechino deteneva partecipazioni in 44 porti sparsi in tutto il mondo; un decennio più tardi il Dragone avrebbe controllato o gestito porti e terminal in quasi 100 località dislocate in più di 50 Paesi, molti dei quali situati lungo alcune rotte commerciali strategiche.

La maggior parte di questi investimenti è stata effettuata da aziende di proprietà del governo cinese, “rendendo di fatto il Partito Comunista Cinese il maggior operatore dei porti che si trovano al centro delle catene di approvvigionamento globali”, ha scritto il Washington PostForeign Policy ha calcolato che dei 75 dei principali porti container del mondo al di fuori della Cina continentale, quasi la metà ha almeno una parziale proprietà cinese (con attività significative, che consentono al Paese asiatico di controllare l’accesso ai terminal, alle forniture, ai bacini di carenaggio e allo stoccaggio).

Il piano della Cina

La Cina controlla, come detto, decine di porti in giro per il mondo (in percentuali più o meno grandi). Basta citare i più rilevanti e unirli tra loro per far emergere la rotta marittima seguita da Pechino. Quali sono?

Il porto di Hambantota, in Sri Lanka; quello di Gibuti, nel Mar Rosso; la zona economica speciale del Canale di Suez e il porto di Sokhna, in Egitto; il porto di Khalifa negli Emirati Arabi Uniti; quelli di Haifa in Israele e il Pireo in Grecia, entrambi nel Mar Mediterraneo; il porto di Amburgo in Germania, Zeebrugge in Belgio e Vado Ligure in Italia. E ancora: il porto di Chancay, in Perù, il primo controllato dai cinesi in America Latina. Qual è, dunque, il piano del Dragone?

A sentire Pechino, l’obiettivo di questa rete portuale coinciderebbe nella volontà di migliorare e semplificare l’accesso ai mercati mondiali. Anche perché la Cina gestisce tra il 90 e il 95% del suo commercio internazionale attraverso rotte marittime. Gli Stati Uniti ritengono tuttavia che i porti controllati dai cinesi – molti utilizzati come punti logistici dalla Nato e dalla Marina Usa – potrebbero essere sfruttati da Pechino per spiare i movimenti militari americani o anche ostacolare il commercio di Paesi rivali.

La preoccupazione di Washington è salita alle stelle nel corso degli ultimi anni, quando la Cina ha introdotto un’infrastruttura di raccolta di dati massiccia proprio nei porti in cui opera. E da quando le leggi cinesi hanno imposto che tutte le aziende nazionali operanti all’estero, sia private che statali, debbano raccogliere e segnalare informazioni di intelligence su entità straniere alle autorità. Due versioni, quelle fornite da Pechino e Washington, che collidono profondamente tra loro.ù

FONTE: https://it.insideover.com/politica/la-via-della-seta-sul-mare-la-rete-dei-porti-con-cui-la-cina-cambia-il-commercio-globale.html

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