I BRICS crescono, ma i media nostrani li ignorano totalmente. Non si dovrebbero sorprendere se al 16mo vertice di Kazan, in Russia, i prossimi 22 – 24 ottobre, essi avanzassero proposte e iniziative di una valenza economica e politica tale da scuotere alle fondamenta il vecchio ordine geopolitico.
Negli ultimi otto mesi hanno tenuto decine e decine di conferenze e incontri preparatori a livello di governi, di parlamenti e di esperti su tutti gli argomenti di interesse globale.
Uno degli argomenti affrontati, quello monetario e finanziario, merita indubbiamente una maggiore attenzione per le sue inevitabili ripercussioni geopolitiche.
Anche quando si è discusso di cooperazione energetica, tecnologica, infrastrutturale, sanitaria, educativa o culturale, è sempre emersa la centralità del futuro assetto monetario e finanziario a livello internazionale.
Affermano di voler sviluppare la cooperazione interbancaria, fornendo assistenza alla trasformazione del sistema dei pagamenti internazionali con l’uso di tecnologie finanziarie alternative, ampliando l’utilizzo delle valute nazionali dei singoli paesi BRICS nel commercio reciproco. Allo scopo i ministri delle Finanze e i governatori delle Banche Centrali sono stati incaricati di esaminare e relazionare a Kazan sull’uso delle valute locali e delle piattaforme di pagamento.
L’intento è chiaramente quello di rafforzare il proprio ruolo nel sistema monetario e finanziario internazionale, soprattutto sulle piattaforme multilaterali come l’Organizzazione mondiale del commercio, il Fmi e la Banca mondiale. Vogliono unire gli sforzi contro la frammentazione del sistema commerciale multilaterale, contro l’aumento del protezionismo e contro l’introduzione di restrizioni commerciali unilaterali.
Secondo gli ultimi dati, il commercio reciproco tra i paesi BRICS ha raggiunto quasi 678 miliardi di dollari l’anno. Allo stesso tempo, negli ultimi 10 anni, il commercio globale è cresciuto del 3% l’anno, quello dei BRICS con il resto del mondo del 2,9% e quello all’interno del gruppo del 10,7%. Per capire il processo è più importante analizzare il tasso di crescita piuttosto che il valore globale.
Nonostante l’ostilità manifesta e crescente di un certo mondo occidentale nei confronti dei BRICS, le candidature e le adesioni da parte dei più svariati paesi stanno aumentando. Non tutti sono “in guerra” con il cosiddetto occidente. Ciò dovrebbe far riflettere senza pregiudizio alcuno.
Una spiegazione, intelligente quanto preoccupante, la fornisce il Washington Post che, in un recente articolo, riporta che gli Usa hanno messo un terzo del mondo sotto sanzioni. Non solo, ma ben il 60% di tutti i Paesi a basso reddito. Oggi più di 15mila sanzioni economiche sono operative.
Il Washington Post rivela che non pochi esperti e funzionari di vari governi statunitensi hanno espresso dubbi sull’effettiva efficacia delle sanzioni, ammettendo che esse sono diventate lo strumento principale, quasi automatico, della politica estera Usa. Ciò di riflesso avrebbe indotto a sottovalutarne anche i possibili danni collaterali. Il quotidiano sostiene che si sarebbe addirittura favorita la crescita di “un’industria delle sanzioni”, multimiliardaria, composta di studi legali, lobbisti e consulenti che si occupano esclusivamente di queste.
Razionalmente dovremmo tutti essere d’accordo sulla necessità di rafforzare il multilateralismo per il giusto sviluppo globale, per la sicurezza e per la pace. Perciò ancora ci si chiede perché i paesi europei e l’Ue non vogliono seguire un percorso autonomo, facendo così anzitutto il proprio interesse.
Al riguardo, significativo è il pensiero del presidente della Repubblica Sergio Mattarella il quale, in occasione della sua recente visita al Centro brasiliano per le Relazioni internazionali (CEBRI) di Rio de Janeiro, in Brasile (il paese che nel 2024 detiene la presidenza del G20 e che nel 2025 avrà quella dei BRICS), ha sostenuto che siamo di fronte a grandi sfide globali “che riguardano tutti, che coinvolgono il concetto, usato talvolta in modo vago, di ‘occidente’, tanto quanto il concetto, definito talora in maniera strumentale, di sud globale. Questo è un tempo che richiede dialogo e confronto”.
Ricordando inoltre la vocazione inclusiva della politica estera italiana, ha evidenziato “la necessità di un multilateralismo in cui i paesi del sud globale possano esprimere con efficacia la loro voce protagonista e il loro peso”. Questa appare come la strada più sicura per lo sviluppo e per la pace nel mondo.
* Mario Lettieri, già deputato e sottosegretario all’Economia; Paolo Raimondi, economista e docente universitario.
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