Gaza. A qualcuno interessa la pace?

ago 17, 2024 0 comments


Di Eugenio Lanza

Le feste comandate mi hanno sempre stranito, angosciato, asfissiato. Mi costringono a ore di pesanti ma inevitabili riflessioni. E Ferragosto non fa eccezione. Quest’anno, però, le congetture mi risultano più gravose rispetto al passato. Forse perché ci sono troppe cose cui non posso non pensare.

Penso alla carneficina in atto in Medio Oriente. Penso ai quasi 40mila palestinesi uccisi a Gaza dal 7 ottobre. Penso alla disperazione di chi è sopravvissuto dentro quell’inferno a cielo aperto, e leggo storie da far gelare il sangue. Come quella di Mohamed Abuel-Qomasan, che malgrado le bombe e la morte aveva deciso di mettere al mondo delle vite nuove, subito cancellate dalla furia israeliana. I suoi figli, due gemellini partoriti dalla moglie pochi giorni fa, sono stati uccisi da Tel Aviv mentre lui ne stava registrando la nascita. Trucidati con la mamma e la nonna materna in un rifugio al centro della Striscia. Joumana Arafa, di professione farmacista, insieme a sua madre e ai piccoli Asser e Ayssel, se ne sono andati per sempre. A Mohamed è rimasto solo il dolore. Sono tutti vittime inermi di un genocidio.
Poi penso ad Arezoo Badri, donna iraniana e madre dei due figli, che lo scorso 22 luglio si è presa un proiettile nel polmone mentre guidava la sua automobile. Il colpo è stato esploso nella città di Noor, e a sparare è stata la polizia, probabilmente perché non indossava l’hijab nel veicolo. Il midollo spinale è stato raggiunto dalla pallottola, e malgrado sia sopravvissuta, è ora condannata alla paralisi permanente. Mi domando com’è possibile che un Paese così antico, che ha saputo mutare religione ed alfabeto per adattarsi al mondo, ma anche rovesciare dinastie per ribellarsi al suo ordine, non sia capace di superare l’estremismo di alcuni dogmi. Mi interrogo su cosa sia rimasto di quel khomeinismo rivoltoso dei cui primi vagiti si invaghì anche Foucault. E mi auguro che la nazione persiana sappia evolversi presto oltre questi rigurgiti di brutale violenza. Solo così potrà riempire di valore metastorico la propria resistenza a Tel Aviv, sorpassando sauditi et similia non solo nelle gerarchie geopolitiche, ma anche sul piano culturale. Altrimenti, rischia di affermarsi solo come male che si oppone al male.
Penso anche al conflitto che da anni, e in particolare negli ultimi 30 mesi, dilania e tormenta il levante della nostra Europa. A metà luglio è sembrato intravedersi uno spiraglio di speranza: Zelensky dichiarava di essere aperto ad un summit per la pace che includesse i vertici russi. Questa settimana, invece, il suo esercito porta la guerra oltre il confine, invadendo la regione russa di Kursk e infiammando di nuovo il conflitto. Probabilmente con l’obiettivo di arrivare più forte ad un possibile tavolo negoziale, sicuramente con il risultato di allontanarlo. E diventando invasore a sua volta. Il tutto al prezzo di moltissime vite umane, protagoniste dimenticate di questo macabro gioco delle parti. Al punto di chiedersi se ci sia qualcuno che la pace la voglia davvero.
Domanda valida anche per la politica israeliana, in un triste parallelismo in cui la coincidenza temporale è quasi perfetta. Un mese fa si riponeva una discreta fiducia nella possibilità che un negoziato Israele-Hamas, con la mediazione qatarina, potesse portare al cessate il fuoco nella Striscia. Poi Netanyahu ha fatto uccidere il leader di Hamas, cioè il suo principale interlocutore. Ismail Haniyeh è stato infatti assassinato a Teheran il 31 luglio scorso, vanificando ogni passo in avanti fatto fin lì. Passi che forse Bibi non aveva mai voluto compiere realmente. E che mai verranno effettuati finché il premier sarà lui. Il quale, evidentemente, non teme neanche un allargamento del conflitto su scala più vasta, dato il peso di simili provocazioni nei confronti della repubblica islamica. I succitati colloqui per l’interruzione momentanea delle ostilità in Palestina, peraltro, si stanno comunque tenendo a Doha proprio in questi giorni. Mi domando ormai con quali presupposti, però.
Infine penso agli episodi di odiosa violenza razzista nel Regno Unito, alle settimane di irrisolta tensione politica in Francia, e all’estrema fragilità che la democrazia statunitense ha palesato quest’anno. Ragiono sulla grandissima influenza che queste nazioni hanno su tutti i conflitti in giro per il globo, e alle modalità mortifere e spregiudicate con cui esse la esercitano.

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