Scrivere un articolo per dire che forse sarebbe meglio non scriverlo, questo articolo, può sembrare una pratica almeno autolesionista. Ma qualche volta capita. Per esempio, nel caso dell’arresto di Pavel Durov, 39 anni, il genio russo dei social media. Durov è stato fermato ieri sera all’aeroporto parigino di Le Bourget, dov’era appena atterrato con il suo jet privato dopo un volo da Baku (Azerbaigian). Con lui, una guardia del corpo e una giovane donna, forse una segretaria.
In un mondo diverso, Durov avrebbe forse già avuto il premio Nobel per la Pace. Nato a Leningrado (URSS) nel 1984 da padre russo e madre francese, un’infanzia trascorsa a Torino, studi superiori di nuovo in patria, in quelle che nel frattempo erano diventata San Pietroburgo e Russia, già da giovanissimo era stato tra i fondatori di V Kontakte (VK), il trentesimo sito più praticato nel mondo, la versione russa di Facebook. Lo accompagna il fedelissimo fratello Nikolaj, il vero genio informatico del duo. Nel 2014 Durov lascia VK e la Russia per non consegnare alle autorità i dati di un gruppo di attivisti anti-Cremlino e seguaci di Navalny e si trasferisce negli Emirati Arabi Uniti. L’anno prima ha creato Telegram, la sua creatura di enorme successo, una piattaforma che garantisce ai suoi utenti (ormai 900 milioni, erano 500 solo nel 2021) una privacy totale. E infatti Telegram è il vero strumento di sopravvivenza per tutti coloro che, nei Paesi più diversi, non si accontentano delle informazioni di regime, o hanno bisogno di comunicare senza doversi sempre guardare alle spalle. In Russia, dove si cercò di bloccarlo nel 2018 per poi fare marcia indietro a causa delle proteste, e in Ucraina, dove da tempo il Parlamento discute una legge per metterlo al bando. E in una miriade di altri Paesi dove la libertà di parola è una bestemmia nei confronti del potere.
La garanzia di privacy, però, funziona a doppio senso. Vale per i dissidenti e i perseguitati ma anche per i truffatori, gli spacciatori, i pornografi, i malintenzionati di ogni genere e livello. Durov su questo è radicale: nessuna moderazione, nessun intervento sui contenuti, “neutralità” assoluta rispetto agli utenti. I francesi quindi lo accusano di essere complice dei reati che con l’aiuto di Telegram vengono compiuti.
Vedremo come procederanno le questioni giudiziarie. Per intanto, ci limitiamo a sottolineare alcune stranezze del caso.
Primo: Durov sapeva che l’Europa è un terreno a rischio per lui, ancor più dall’approvazione del Digital Service Act, con tutti i dubbi che esso può sollevare e le restrizioni che implica. Telegram, per fare solo un esempio, è stato di recente bloccato in Spagna, dove ha 8 milioni di utenti. Quindi, perché arrivare a Le Bourget bello bello con un volo privato? È stato un arresto o una resa?
Secondo: allo stesso modo Durov, che ha cittadinanza russa, francese, emiratina e di Saint Kitts and Nevis, sapeva che il passaporto francese avrebbe escluso per lui qualunque ipotesi di scambio o estradizione, una volta finito nelle mani della giustizia d’Oltralpe. Quindi, di nuovo: perché recarsi proprio in Francia?
Terzo: il ministero degli Esteri russo ha emesso una dichiarazione per far sapere che l’ambasciata russa di Parigi si è subito interessata al caso ma non su richiesta di Durov. Che è cittadino russo ma non ha contattato l’ambasciata. D’accordo, i rapporti con la madrepatria erano tesi come detto sopra, ma è difficile che in suo soccorso vadano gli Emirati Arabi Uniti o Saint Kitts…
Quarto: la cittadinanza emiratina. È tutt’altro che facile da ottenere, per uno straniero. E i quattrini non c’entrano: Durov ha un patrimonio personale di 15 miliardi di dollari, che però si è formato dopo il suo trasferimento negli Emirati. La cittadinanza, da quelle parti, si ottiene sono per matrimonio o per “meriti straordinari”. Durov non è sposato ma ha una compagna russa, Darja Bondarenko, conosciuta all’Università di San Pietroburgo, dalla quale ha avuto due figli. Restano i “meriti straordinari”. Ma quali?
Vedremo nei prossimi giorni. Restano alcuni fatti, indubitabili. Emmanuel Macron ha fatto ciò che nemmeno Vladimir Putin aveva osato fare, e cioè arrestare Durov e, di fatto, mettere sotto tutela uno strumento di comunicazione come Telegram. Secondo fatto: finisce in manette un inventore e titolare di social media non americano. A questo aggiungiamo le minacce a Tik Tok: gli Usa hanno intimato alla società cinese: o vendi o ti blocchiamo; l’India lo ha già bloccato; l’Europa ci pensa e intanto lo limita. E gli “avvisi” sulle fake news del commissario europeo Thierry Breton a X a Elon Musk alla vigilia dell’intervista a Donald Trump (che è “solo” il candidato alla presidenza Usa, mentre Breton è commissario di una Von Der Leyen che dichiarava che “i russi usano i chip delle lavatrici per far volare i missili”). E ci domandiamo fin dove arrivi la battaglia per la correttezza dei contenuti e la trasparenza dell’informazione e dove invece cominci la censura e il controllo della comunicazione.
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