Prima ancora di fare qualunque considerazione sugli esiti delle recenti elezioni, bisogna ricordare che il Parlamento europeo non svolge esattamente le stesse funzioni di un parlamento nazionale. Certamente è un organo legislativo perché può formulare e discutere al suo interno leggi, direttive e raccomandazioni, ma perché esse entrino in vigore occorre l’approvazione di altri due organi istituzionali: il Consiglio europeo e la Commissione europea. Ambedue sono collegiali, ma non eletti direttamente dai popoli. Sono piuttosto emanazione dei governi nazionali che ne indicano nominativamente i componenti. Si tratta di uno dei deficit democratici più volte criticato dagli osservatori ma mai affrontato.
Altra considerazione. I politici eletti in ciascun Paese sulla base dei partiti nazionali a cui appartengono, devono poi andare a collocarsi all’interno di gruppi parlamentari che si formano a Bruxelles sulla base di “apparentamenti”, affinità ideologiche, progetti politici. Vero è che la pratica delle coalizioni è largamente praticata anche dai parlamenti nazionali per raggiungere quel 51% dei voti che serve ad approvare le leggi, ma nel Parlamento europeo le differenze fra partiti simili sono molto più marcate e la formazione di una “famiglia” con forti affinità può risultare problematica. Ciò soprattutto vale per i partiti che si collocano agli estremi opposti dell’aula parlamentare. Può accadere che, pur avendo fatto registrare un significativo successo a livello nazionale, nell’aula di Bruxelles possano trovarsi isolati e di fatto ininfluenti sulle scelte della maggioranza. Probabilmente anche a questa circostanza si deve l’alto livello di astensione dal voto che in alcuni Paesi riguarda la metà degli aventi diritto.
La tornata elettorale dei giorni scorsi certamente ha dato delle indicazioni, ma non ha provocato alcun terremoto negli equilibri complessivi dell’Unione. Un certo successo dell’AFD in Germania era previsto, ma l’estrema Destra ha guadagnato solo 6 seggi rispetto al 2019, conquistando in tutto 15 seggi mentre la coalizione CDU/CSU porterà in Europa 30 rappresentanti. I socialisti tedeschi hanno perso 2 seggi, mentre molto più pesante risulta il bilancio dei Verdi che si troveranno con 9 seggi in meno. Il loro crollo viene attribuito da molti osservatori agli scarsi risultati riportati nell’ambito delle battaglie sui temi dell’inquinamento e del riscaldamento globale. Sembra che il cancelliere Olaf Scholz, malgrado la sua apparente insicurezza, non abbia perduto la fiducia dei suoi elettori.
Ben altro discorso invece va fatto per il presidente francese Emmanuel Macron. Constatata la pesante sconfitta del suo Partito da parte della Destra lepenista, ha sciolto immediatamente il Parlamento e convocato nuove elezioni. Molti sono i motivi per questa severa debacle. Le ripetute prese di posizione interventiste sulla guerra in Ucraina e la scelta prospettata di far intervenire l’esercito francese sul terreno probabilmente non hanno incontrato molti consensi. Ovviamente da parte dei pacifisti, ma anche da parte di quell’opinione pubblica che ritiene possibile una trattativa con Vladimir Putin e necessario esplorarne le vie migliori. Inoltre la riforma delle pensioni, per la verità non particolarmente dura, ha suscitato manifestazioni violente e ripetute in buona parte delle città francesi e un inasprimento del clima politico. Se a ciò si aggiungono la necessità di spegnere le vetuste centrali nucleari che forniscono il 50% dell’elettricità al Paese, la crescita del debito pubblico, la fuga dalle ex colonie africane che ha spianato la strada a russi e cinesi, l’inflazione al galoppo, l’antisemitismo montante e i disordini nei ghetti degli immigrati, ce n’è abbastanza per comprendere l’esito delle urne. Marine Le Pen, leader del Rassemblement National, il partito di estrema destra entrato ormai da tempo nella dialettica della politica francese, ha ottenuto il doppio del partito di Macron: 31,5% contro 15%. Al 31,5% del Rassemblement potrebbe aggiungersi la formazione di destra di Marion Maréchal Le Pen, nipote di Marine, ma alleata di Giorgia Meloni al Parlamento di Bruxelles. Non è chiaro come si strutturerà l’alleanza fra i gruppi parlamentari di destra, dal momento che le formazioni di quest’area non sono disponibili a un’alleanza con i tedeschi dell’AFD, più volte accusati dall’opinione pubblica di neonazismo. Il Rassemblement conquista 58 seggi a Strasburgo e rende teoricamente possibile, aggregando altri gruppi sovranisti, una risicata maggioranza di centrodestra in Europa.
L’ottimo esito elettorale di Fratelli d’Italia dà a Giorgia Meloni la possibilità di giocare un ruolo di una certa importanza nella nuova legislatura europea, benché il Partito Democratico sia restato distanziato di appena 4 o 5 punti percentuali. Nell’ambito della Destra europea il peso dei deputati italiani potrebbe risultare determinante nella competizione politica.
FONTE: https://www.notiziegeopolitiche.net/ue-elezioni-cosa-cambia-nel-parlamento-europeo/
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