La tensione che ha invaso tutto il Medio Oriente e che ha come epicentro la Striscia di Gaza coinvolge soprattutto l’Iran che, in via indiretta, è protagonista su diversi fronti. La Repubblica islamica, dall’inizio del conflitto a Gaza, ha sostenuto pienamente la causa di Hamas, nonostante le divergenze ideologiche e religiose tra la sua essenza sciita e l’organizzazione palestinese di matrice sunnita. Ma oltre ai confini di Israele e dell’exclave palestinese, l’insieme delle forze legate all’Iran in tutta la regione ha avviato una serie di confronti con le forze occidentali e con quelle israeliane che hanno mostrato la rete di alleanze e di partnership di Teheran in molti Paesi dell’area. Una galassia che compone un sistema in grado di mettere a repentaglio non solo la sicurezza di Israele, ma anche la stabilità della regione, le forze occidentali (in particolare statunitensi) presenti “boots on the ground” in Medio Oriente, ma anche la stessa economia globale.
Il ruolo di protagonista in queste settimane lo hanno assunto gli Houthi, la milizia filoiraniana che dallo Yemen lancia droni e missili diretti contro le navi commerciali che fanno rotta verso Israele attraverso il Mar Rosso. Da Sanaa, la forza yemenita si è riuscita a imporre nel panorama internazionale nonostante anni di oblio sul conflitto che ha insanguinato il Paese: un fronte drammatico e dimenticato di quel gigantesco arco di crisi avviato con le Primavere arabe. E i 25 attacchi da novembre segnalati dal Comando centrale degli Stati Uniti (Centcom) confermano la rilevanza strategica delle forze houthi al pari della decisione di molte compagnie di navigazione di interrompere le tratte per lo stretto di Bab el-Mandeb mentre continuano a piovere missili e droni o a muoversi barchini diretti contro i cargo o verso il porto di Eilat.
Più a nord, a fare la voce grossa nell’equilibrio mediorientale e a ridosso dei confini israeliani è Hezbollah. Il partito-milizia di Hassan Nasrallah, che continua a minacciare lo Stato ebraico pur senza scatenare uno scontro diretto con le Israel defense forces, è impegnato da mesi in un confronto serrato con le forze israeliane, e proprio per questo motivo, sia Washington che Beirut premono sull’organizzazione sciita affinché fermi qualsiasi ipotesi di escalation militare con Israele. Hezbollah ha già perso un centinaio di combattenti: ma nonostante l’ultimo raid chirurgico che ha colpito il numero due di Hamas in una delle roccaforti del Partito di Dio a Beirut, il movimento libanese non ha ricevuto il via libera da Teheran per compiere un attacco. L’Iran sa di poter contare su un arsenale ai confini di Israele e sul Mediterraneo. Ma sa anche che il vantaggio, in questa fase, è rappresentato proprio dal fatto che Hezbollah rappresenta una minaccia strategica verso Israele. La milizia nel corso degli ultimi anni si è addestrata e si è rafforzata. La guerra in Siria ha permesso a Teheran di costruire un canale di collegamento diretto con il Libano e il Paese si è trasformato in un banco di prova fondamentale per testare la forza dell’alleanza sciita. Nasrallah, inoltre, ha saputo tessere la sua rete di alleanze: come dimostrato anche dal possibile impiego di missili antinave russi da parte del movimento.
Se la Siria, con l’alleato Bashar al Assad al timone di Damasco, rappresenta un solido pilastro della cosiddetta Mezzaluna sciita, a fare ora da ulteriore pilastro del sistema di alleanze iraniane sono le milizie sciite in Iraq. La tensione, anche in questo angolo di Medio Oriente, è latente da mesi. Dall’inizio della guerra a Gaza, fazioni armate irachene legate all’Iran hanno colpito o tentato di colpire la basi Usa presenti in territorio iracheno o al di là del confine siriano. E in questi giorni, ha assunto una particolare rilevanza l’attacco americano a Baghdad che ha ucciso un leader di una di queste milizie, Abu Taqwa Al-Saidi, vicecomandante del movimento Al Nujaba. Le milizie dell’Iraq hanno annunciato risposte immediate all’attacco ordinato da Washington e sono stati riportati dei droni lanciati contro un campo di addestramento vicino alla base di Al-Tanf, al confine tra Iraq, Siria e Giordania, e il campo petrolifero di al-Omar.
I più recenti attacchi da parte di Stati Uniti e Israele (più o meno rivendicati) hanno fatto capire che le due potenze hanno iniziato a reagire in modo più chirurgico e letale nei confronti del cosiddetto “asse della Resistenza”. Il bombardamento a Baghdad, l’omicidio di Saleh el Arouri a Beirut e prima ancora l’assassinio di Mousavi, sempre in un raid, in Siria hanno confermato la capacità dell’intelligence israeliana e di quella statunitense di individuare e colpire ovunque e in qualsiasi momento. E anche la pressione sugli Houthi sta aumentando sensibilmente, pur se tra molte difficoltà nel decollo di Prosperity Guardian. Segno che per l’alleanza sciita non è semplice mantenere questo equilibrio, rischiando di alzare troppo il tiro. Ma indizio anche di come l’Iran sia riuscito negli anni a consolidare un sistema di forze non solo fedeli alla Repubblica islamica, ma anche di incidere in modo sensibile sulla stabilità del quadrante mediorientale. Una minaccia costante e capace di infiammare l’intera regione mettendo pressione tanto allo Stato ebraico quanto alle forze Usa.
Commenti
Posta un commento
Partecipa alla discussione