Di Filippo Romeo
Lo scenario globale, per come abbiamo avuto modo di conoscerlo nel corso di questo trentennio, sta attraversando una fase di inesorabile cambiamento i cui effetti sono rintracciabili nelle perturbazioni in ambito geopolitico che stanno interessando i vari scacchieri. All’interno di questo nuovo contesto, il Mar Mediterraneo continua ad acquisire una sempre maggiore centralità geo-economica legata alla crescita delle potenze asiatiche, delle economie del golfo e di alcuni Paesi del continente africano. Divenuta centro di interessi delle maggiori potenze mondiali, l’area costituisce, tuttavia, una labile faglia caratterizzata da una forte instabilità in cui vengono scaricate le tensioni che si generano su scala globale.
Sin dall’antichità il Mediterraneo ha giocato un ruolo di fondamentale importanza nell’evoluzione della storia mondiale. Per come ben sintetizzato dal Prof. Elia Valori, il Mediterraneo ha creato l’Impero Romano, ha definito i limiti dell’espansione costiera fenicia, ha assorbito e ricostruito la civiltà nordeuropea durante le invasioni barbariche, ha assunto il Cristianesimo rendendolo erede dell’Imperium universale, ha, infine, generato, dopo i progetti imperiali di Carlo V, la dinamica degli Stati nazionali e delle loro interrelazioni. Uno spazio le cui radici, di fatto, affondano nella civiltà nata dalle sue coste, ma anche in quella comunità di popoli che si è formata nel corso di un paio di millenni dando vita, per dirla alla Braudel, a quel “sistema in cui tutto si fonde e si ricompone in un’unità originale”, qual è appunto il Mediterraneo. Ma “che cos’è il Mediterraneo?” – si chiedeva Braudel – “Mille cose insieme. Non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare, ma un susseguirsi di mari. Non una civiltà, ma una serie di civiltà”.Oggi, anche a seguito delle instabilità di alcune sue porzioni e dei sommovimenti critici che stanno interessando l’intera area in cui insistono gli interessi di vecchi e nuovi attori che si mostrano sempre più assertivi, la risposta al quesito potrebbe essere la cartina di tornasole per comprendere la peculiarità del bacino, divenuto tanto cruciale sotto il profilo economico e degli scambi commerciali, quanto instabile e insicuro.
Rispondere al quesito diventa ancor più determinante per l’Italia la cui posizione geografica e i cui processi storico culturali ne legano a doppio filo il destino con le sorti del Mediterraneo. Un rapporto simbiotico le cui azioni – o inazioni – potrebbero determinare gli equilibri presenti e futuri, definendo il ruolo che si intende ricoprire su scala internazionale. Eppure, nonostante tale simbiosi, il Paese, e la cultura nazionale, sembrerebbe percepire questo spazio come periferico. Costituisce eccezione la posizione assunta dall’anatomopatologo Cosimo Inferrera che, in maniera indefessa, da anni si spende per divulgare i concetti di importanza strategica e di centralità geografica del nostro Paese. Inferrea, parafrasando Franco Cardini, pone l’attenzione su un dato essenziale: in questo specchio d’acqua, l’Italia costituisce un grande molo, un piano di scorrimento che suddivide il bacino in due grandi comparti, quello orientale e quello occidentale, con l’estremità settentrionale adagiata sull’arco alpino con i suoi versanti franco-germano–slavi; con la parte meridionale che si proietta verso il mondo arabo africano, e il cui fianco orientale guarda al mondo greco balcanico a cui storicamente appartengono il Gargano e il Salento.
Tuttavia, per cogliere al meglio la centralità che la geografia offre al Paese, e la strategicità che detta posizione potrebbe determinare nell’azione dello Stato in politica estera, occorre assumere consapevolezza della dimensione marittima senza la quale diventa difficile tracciare la direzione da intraprendere. “Sappiamo dove andiamo se sappiamo chi siamo” e, certamente, “solo chi conosce il passato può accennare ad un ordine del futuro”. Occorre, dunque, riannodare il filo con l’evoluzione storica dell’Italia nel Mediterraneo che – per come osserva il Professore Egidio Ivetic – costituisce l’essenziale elemento di sviluppo di un pensiero mediterranista che scaturisca dalla prospettiva Italiana. Diversamente, per mutuare le parole di Primo Mario Cavaleri, continueremo a vivere “spalle al mare”.
Ad oggi, rileva Ivetic nel suo volume “Il Mediterraneo e l’Italia”, nella storiografia Italiana il Mediterraneo, purtroppo, non ha riscosso grande interesse, se non come sfondo o cornice per temi prettamente italiani. Si pensi che negli Annali tematici della Storia d’Italia, di ben 27 grossi volumi neanche uno è dedicato al Mediterraneo. In buona sostanza, mancano visioni e interpretazioni storiche; vi è carenza di rappresentazione, elementi che – condividendo il pensiero di Lucio Caracciolo – in geopolitica rivestono un’importanza cruciale. “Non c’è geopolitica senza mito. E non c’è mito senza rito. Ogni comunità che aspiri alla potenza ha bisogno di una radice storica. Di una credenza coltivata e condivisa dalle élite. Le quali provvederanno a organizzarne il culto di massa.”
“Quella tra il 23 e il 24 febbraio 2022 sarà consegnata alla storia come la notte più lunga per l’Europa e l’Occidente”.
Pertanto, per prendere coscienza della nostra centralità nel Mediterraneo è, dunque, essenziale riscoprire la nostra storia in termini mediterranei e sviluppare una vera cultura del mare di cui il Paese al momento è privo. Occorre fare luce sui riti e simboli appartenenti a tale dimensione, nonché sull’importanza del Mediterraneo come “mare delle civiltà”, espressione coniata da Ernesto Massi attraverso la quale indicava che il Mediterraneo, centro geografico ed insieme geopolitico, può avere una sua funzione solo se capace di tenere insieme i tre continenti che ne tracciano il perimetro. Difatti, il mancato sviluppo di una reale cultura del mare in tutte le sue sfaccettature, oltre a rendere meno vigorosa l’azione politica, ci condannerà a perdere le migliori qualità che la posizione geografica naturalmente ci offre, un rischio che oggi appare ancor più imminente se si considera che nel raggio di poche miglia dalle coste italiane si stanno giocando le partite decisive legate alla sicurezza e agli interessi economico-sociali dell’intero pianeta. Ove la nostra azione non poggiasse su basamenti solidi e su una strategia ponderata, si rivelerebbe con molta probabilità inefficace e – contravvenendo agli auspici di Massi – contribuirebbe a trasformare il bacino in epicentro dello “scontro di civiltà”, con tutto ciò che ne comporterebbe anche per il nostro sistema economico i cui interessi, partendo dal Mediterraneo, si estendono a livello globale.
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