Hamas attacca brutalmente Israele con una forza inaudita e Benjamin Netanyahu ottiene la “sua” guerra, ovvero ciò che al premier di Tel Aviv e leader del Likud serviva per consolidare la sua presa sul potere di fronte a un Paese in sommovimento contro le politiche del suo governo sulla riforma della giustizia e contro la svolta iper-conservatrice sul fronte securitario interno.
Questo non significa ovviamente dare la responsabilità a Netanyahu per l’escalation di violenze gettata su Israele da Hamas e Jihad Islamica. Ma certamente è necessario capire che l’attacco dei titolari della sovranità sulla Striscia di Gaza non arriva dal nulla ma dopo mesi di guerra retorica, provocazioni incrociate e scavo di trincee di odio tra lo Stato ebraico e l’organizzazione militante palestinese in cui all’oltranzismo di Hamas si è aggiunto quello del governo di estrema destra israeliano.
Le immagini brutali delle incursioni dei commando di Hamas, dei lanci di razzi e della guerra a sorpresa scatenata dai militanti nella città di confine di Sderot si inseriscono, purtroppo, in un quadro ove la strategia di entrambe le parti è stata profondamente incendiaria. Solo tra giovedì e venerdì l’ultimo caso di uno dei fatti che Hamas pretende di “vendicare” nel “Giorno della Rivoluzione”: guidati da un deputato alla Knesset, Zvi Sukkot, dei coloni israeliani in Cisgiordania hanno messo a ferro e fuoco Huwara, nella Cisgiordania occupata dai settlers, provocando la morte di Labib Dhamidi, un ragazzo di 19 anni, civile non affiliato a alcuna organizzazione militante.
Sukkot è membro del Partito Sionista Religioso, alleato di Netanyahu nel governo assieme a Potere Ebraico, la formazione del Ministro della Sicurezza Nazionale Itman Ben-Gvir. Netanyahu ha alleato due forme di estrema destra apparentemente antitetiche tra di loro: quella iper-religiosa e più fedelmente legata al tradizionalismo ebraico e quella del nazionalismo sionista “laico”. Entrambe accomunate da un feroce odio per i palestinesi che è la cifra distintiva del governo nato dopo il voto di fine 2022. Hamas attacca Israele volendo “vendicare al-Aqsa” nelle intenzioni: le marce di Ben-Gvir sulla spianata della Moschea di Gerusalemme, luogo sacro cruciale per i musulmani, si sono unite alle sue sparate continue contro gli arabi e all’escalation della polizia e degli organi di sicurezza coordinati dal ministro radicale contro i fedeli palestinesi nel cuore di Gerusalemme e nei territori occupati.
“Il mio diritto, il diritto di mia moglie e dei miei figli di circolare in Giudea e Samaria è più importante della libertà di movimento degli arabi. Il diritto alla vita viene prima della libertà di movimento. Mi dispiace, ma questa è la realtà”: Ben-Gvir ha parlato così mercoledì 23 agosto dall’emittente Canale 12, suscitando reazioni durissime anche in ambienti moderati. In Italia la testata Israele.net ha condannato come “sciagurate” le sue parole, assist ai nemici di Tel Aviv nel mondo: “questo sproposito non solo calunnia Israele, ma infligge anche danni di dimensioni senza precedenti alle sue pubbliche relazioni sulla scena mondiale. Da anni Israele si batte per mettere in evidenza e far conoscere il suo carattere democratico e i principi di civiltà su cui è fondato: la visione dei profeti biblici, l’eguaglianza, la democrazia. Da anni, coloro che odiano Israele cercano di etichettarlo come uno stato di apartheid nella speranza di escluderlo dal club delle nazioni illuminate”.
Mentre la “sicurezza nazionale” di cui Ben-Gvir è titolare collassa in maniera impronosticabile di fronte ai raid di Hamas e mentre Netanyahu, ordinando i primi raid e mobilitando la riserva, con la guerra appiana le divisioni del Paese attorno alla sua figura, è impossibile non pensare a queste parole, queste dichiarazioni, queste uscite.
Israele è sotto attacco, è vero. Lo è dai missili e dai raid di Hamas. Ma Israele subisce anche gli attacchi di una politica che, creando divisionismi, ha avvelenato gli animi nella principale democrazia mediorientale. Aprendo una finestra in cui si sono infilati discorsi divisivi e politicamente dannosi per la stessa sicurezza pubblica. I razzi lanciati, sporadicamente, da Hamas durante le varie fasi di provocazione bilaterale sono diventati la pioggia di 5mila proiettili di stanotte. La collera è esplosa senza che nessuno, nel governo, facesse nulla per contenerla. Netanyahu ha la “sua” guerra con cui può giustificare la permanenza al potere e l’alleanza con l’estrema destra. Ma a che prezzo? Al prezzo della vulnerabilità, della percepita fragilità, dell’alimentazione del fuoco della ghettizazione della società. Il migliore degli alleati di Netanyahu, in questa fase, si chiama proprio Hamas, con la sua disgraziata politica militare che trasforma in uno “scudo umano” l’intera Gaza. E dà un assist al suo mortale nemico nel momento di massima difficoltà politica. Ma nella politica israelo-palestinese la gara sembra ormai a chi scava più in basso.
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