Israele, la sponda egiziana e la diplomazia invisibile: così la Cina si muove nella crisi

ott 13, 2023 0 comments


Di Federico Giuliani

Vantaggi e svantaggi. Nuove possibilità e contraccolpi diplomatici. La crisi in Israele bussa alle porte della Città Proibita, dove la Cina aveva – e ha – ben altre priorità nella propria agenda politica. La pioggia di missili partita da Gaza, l’azione improvvisa di Hamas, la prospettiva di un’eventuale discesa in campo di Hezbollah, e, più in generale, il rischio che il conflitto possa espandersi e coinvolgere l’intero Medio Oriente, sono tutti spettri che infestano i sogni di pace internazionale promulgati da Xi Jinping.

Nei mesi scorsi, infatti, Pechino aveva messo nel mirino la regione mediorientale per dimostrare al mondo che, attuando il proprio modus operandi, sarebbe stato possibile riordinare un’area complessa. La stessa che, nei decenni precedenti, aveva inghiottito persino gli Stati Uniti. Ebbene, nelle intenzioni di Xi, laddove avevano fallito gli americani avrebbero dovute riuscire i cinesi.

I primi passi del Dragone sembravano incoraggianti. Inaugurati come erano, sullo sfondo di fanfare e squilli di tromba, dalla visita del leader cinese in Arabia Saudita. E seguiti dalla silenziosa regia cinese che, da dietro le quinte, ha consentito la ripresa delle relazioni diplomatiche tra Iran e la stessa Arabia Saudita. Prodromi potenzialmente interessanti, che si sono tuttavia impantanati con le recenti ostilità esplose tra Israele e Hamas.

La fine del laboratorio cinese?

Agli occhi della Cina, l’Arabia Saudita è essere una sorta di laboratorio nel quale sperimentare le giuste ricette per fare breccia in Medio Oriente. Sulla carta, la presenza cinese nella regione è ancora irrisoria, ma le impronte lasciate nel commercio e nella tecnologia sono gradualmente diventate sempre più marcate, consentendo a Pechino di capitalizzare un notevole accumulo di soft power spendibile in altre sedi (e altri ambiti).

L’obiettivo non dichiarato di Xi consisteva nel far crescere questa macchina diplomatica per rendere la Cina ancor più potenza globale nel duello a distanza con gli Usa. Ma una potenza globale, quando scoppia una crisi come quella in Israele, è chiamata a “sporcarsi le mani” per cercare di risolverla. Dunque, se la vaghezza della condanna del gigante asiatico degli attacchi terroristici contro Tel Aviv è coerente con la politica cinese di non interferenza nei conflitti internazionali, allo stesso tempo riflette il limite degli sforzi diplomatici cinesi in Medio Oriente.

Nel caso specifico, il pericolo, per Xi, è che possa emergere una discrepanza tra la retorica diplomatica utilizzata dalla Cina nella risoluzione delle crisi e le concrete azioni messe in atto per risolverle. Detto altrimenti, il Dragone ha dato l’impressione di voler svolgere un ruolo attivo nella mediazione della pace tra Israele e Territori palestinesi ma, adesso che potrebbe farlo, dà la sensazione di tentennare.

La crisi in Israele spiazza la Cina

Se questa divergenza tra parole e azioni dovesse allargarsi troppo, la Cina potrebbe esser percepita dai Paesi mediorientali come una valida proposta commerciale anziché una potenza disposta a risolvere i complessi conflitti regionali. A quel punto, in caso di allargamento del conflitto, il futuro regionale di Pechino dipenderebbe dal coinvolgimento degli Stati Uniti. Nel migliore dei casi per il gigante asiatico, Washington potrebbe distrarsi da un altro conflitto militare e perdere tempo (e risorse); nel peggiore, l’amministrazione Biden avrebbe modo di affermarsi come grande potenza globale relegando i cinesi in secondo piano.

La Cina vuole spazzare via dubbi del genere ed è quindi passata all’azione. L’inviato cinese per il Medio Oriente, Zhai Jun, ha avuto una conversazione telefonica con Osama Khedr, viceministro del dipartimento palestinese del ministero degli Esteri dell’Egitto. Pechino ha fatto sapere di essere disposta a coordinarsi con il Cairo per arrivare ad un cessate il fuoco immediato tra Israele e Hamas.

C’è però chi sostiene che Xi abbia una road map ben diversa da quella di entrare a gamba tesa nella crisi. Il sito Politico ha scritto che la Cina starebbe probabilmente mettendo in atto una mossa a lungo termine. Il non aver condannato esplicitamente Hamas rientrerebbe in una strategia volta a guadagnarsi il favore del Medio Oriente e dei Paesi simpatizzanti della causa palestinese in regioni come l’Africa e l’America Latina. E cioè in due aree ricche di attori alla ricerca di partner alternativi agli Usa.

In ogni caso, Xi farà bene a non ignorare troppo le cause israeliane, visto che la Cina ha un commercio redditizio nel settore tecnologico con Israele, comprendente anche importazioni annue di semiconduttori dal valore di più di 1 miliardo di dollari. Essere una grande potenza, insomma, comporta onori e oneri.

FONTE: https://it.insideover.com/politica/la-sponda-egiziana-e-la-diplomazia-invisibile-cosi-la-cina-si-muove-nella-crisi-israeliana.html 

-----------------------------------------------------------------------------------

FOTO: twitter.com

Commenti

Related Posts

{{posts[0].title}}

{{posts[0].date}} {{posts[0].commentsNum}} {{messages_comments}}

{{posts[1].title}}

{{posts[1].date}} {{posts[1].commentsNum}} {{messages_comments}}

{{posts[2].title}}

{{posts[2].date}} {{posts[2].commentsNum}} {{messages_comments}}

{{posts[3].title}}

{{posts[3].date}} {{posts[3].commentsNum}} {{messages_comments}}

Search

tags

Modulo di contatto