Diversi paesi a maggioranza islamica, mantenendo un profilo meno “urlato” rispetto alla Repubblica Islamica dell’Iran, hanno elevato Hamas ad interlocutori politici finanziando tale organizzazione, sin da quando nel 2007, a seguito di un conflitto tutto interno alla galassia palestinese, il partito ottenne il controllo della striscia di Gaza a scapito del rivale politico al-Fatah, erede dello storico leader Yasser Arafat.
In particolare il Qatar ha avuto un ruolo significativo nella strategia del doppio petto di Hamas, politica e armi. Non per caso la monarchia qatarina ospita nel suo paese dirigenti palestinesi di primissimo piano come Ismail Haniyeh, o Khaled Meshal, menti politiche dell’organizzazione, mentre ingenti quantità di denaro, centinaia di milioni di dollari nel corso degli anni, sono fluiti a Gaza.
Tali finanziamenti sono da ricondurre alla politica promossa dagli emiri qatarini in sostegno al gruppo dei Fratelli Musulmani in Egitto, alleati di Hamas che si oppongono alla normalizzazione dei rapporti con Israele, elemento che ha contraddistinto i governi delle giunte militari Sadat, Mubarak ed al-Sisi, ma non sono l’unica motivazione.
Per il Qatar aver sostenuto Hamas è un modo per competere con il principale attore del Golfo, ovvero l’Arabia Saudita che, sotto forte pressione dell’alleato statunitense, nel corso degli ultimi venti anni ha ridotto il suo sostegno finanziario ai gruppi islamici considerati estremisti, tra cui Hamas, e non ha sostenuto in Egitto il governo Morsi a guida islamica eletto nel 2012 e rovesciato nel 2013 dai militari egiziani.
Le frizioni tra le due monarchie del golfo, il Qatar e l’Arabia Saudita, sono state molto forti e nel 2017 portarono persino al blocco aereo, navale e terrestre da parte dei sauditi e dei loro alleati con le accuse, mosse ai qatarini, di finanziare il terrorismo. Dietro tali frizioni c’è stata l’insofferenza saudita per il forte attivismo del Qatar ad elevarsi ad interlocutore politico privilegiato del mondo sunnita, al quale Hamas e gran parte del popolo palestinese appartengono.
Nella zona della Striscia di Gaza sono giunti ingenti finanziamenti da parte del Qatar o di suoi emissari, gestiti in loco direttamente da Hamas, ed è intuibile che possano essere serviti anche per finanziare ambiti opachi, tra cui anche miliziani della brigata Ezzedin al-Qassam. Va ricordato, ad esempio, che nel 2021 Hamas chiese al governo qatarino di continuare a ricevere i finanziamenti in contanti e non tramite bonifico bancario, cosa che avrebbe reso tracciabili tali pagamenti.
La situazione economica della Striscia di Gaza lascia poco margine per costruire una economia indipendente da finanziamenti esterni, essendo tale territorio impossibilitato a svilupparsi, anche a seguito del blocco navale e terrestre imposto dalle autorità israeliane nel 2007, con Gaza che per materie prime essenziali, come ad esempio il gas, è costretta a dipendere dall’arcinemico israeliano.
Il Qatar, anche in questo caso, ha garantito i finanziamenti per la costruzione del gasdotto che dal giacimento di Leviathan in Israele dovrebbe portare il gas all’unica centrale elettrica in funzione nella striscia di Gaza, per un valore di oltre 60 milioni di dollari di investimento.
Il conflitto russo-ucraino ha dato una spinta ai flussi commerciali di gas tra Qatar ed Europa, e la necessità di aumentare le quantità di gas naturale liquefatto fa sì che la produzione nel paese crescerà di oltre il 60% con contratti a lungo termine con paesi come la Germania, per un accordo di 15 anni per la fornitura di 2 milioni di tonnellate di gas annue, oltre all’espansione del progetto North Field East, in cui anche l’Eni è coinvolta, che consentirà di aumentare la capacità di esportazione del gnl da 77 mtpa a 110 mtpa.
E’ lampante che il Qatar ambisca ad un forte ruolo di negoziazione partendo da una posizione di vantaggio, poiché può avere sia i mezzi per condurre Hamas e i suoi alleati a ridurre la gravità del conflitto in corso sia, se la reazione di Israele dovesse dimostrarsi di una durezza senza precedenti, una forte arma verso i paesi occidentali e in particolar modo la UE, ovvero quella energetica.
Tale duplice capacità blinda la posizione del Qatar nel conflitto in corso, in cui può guadagnare da entrambe le parti. Se infatti il Qatar dovesse riuscire a mediare, ad esempio, per la liberazione di alcuni ostaggi, guadagnerebbe ulteriore prestigio internazionale che contribuirebbe a “far dimenticare” i finanziamenti poco chiari che sono arrivati nella striscia di Gaza nel corso degli anni.
In caso contrario potrebbe guadagnare terreno a scapito di altre potenze del Golfo su una delle cause più sentite del mondo arabo, il conflitto arabo-israeliano, usando l’arma del gas come possibile minaccia contro le potenze occidentali per indurle a fare forti pressioni al governo Netanyahu affinchè non esageri con la reazione ai violenti attacchi terroristici portati da Hamas lo scorso 7 ottobre.
Il Qatar in questo modo continuerà a fare concorrenza all’altro grande attore della regione, l’Arabia Saudita, il cui possibile accordo di normalizzazione nelle relazioni con Israele sarebbe visto da una parte del mondo arabo come un tradimento della causa palestinese e non giustificabile nemmeno con la scusa di frenare l’espansionismo iraniano sciita e la sua influenza sui gruppi islamici di matrice sunnita nella regione.
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