Nonostante i possibili rischi per la salute e gli appelli di molti cittadini alla cautela, il governo Meloni – in IX Commissione del Senato – ha approvato un emendamento al Ddl Concorrenza che consente l’innalzamento dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità relativi ai campi elettromagnetici. I valori passano “in via provvisoria e cautelativa” – si legge nel testo – dagli attuali 6 volt metro (V/m) a 15. Ad accogliere con entusiasmo l’emendamento è stato soprattutto il ministro per le Imprese e per il Made in Italy, Adolfo Urso: «Con l’approvazione dell’emendamento al Ddl Concorrenza che consente l’innalzamento dei limiti di esposizione ai campi elettromagnetici, finalmente l’Italia si muove nella direzione europea, recuperando ritardi decennali. Nel nostro Paese il limite di emissione per i campi elettromagnetici era fermo a 6 V/m, risultando il più basso tra quelli dell’Ue, tanto da frenare lo sviluppo delle reti 5G nelle aree urbane» ha affermato.
Tuttavia, di parere contrario non sono solo le opposizioni, ma anche Legambiente, l’Alleanza Stop 5G e il Codacons, l’associazione dei consumatori. Secondo quest’ultimo, «Si baratta la salute dei cittadini con gli interessi delle società delle telecomunicazioni, le uniche che otterranno vantaggi economici dall’innalzamento dei limiti». Non è un caso, dunque, che Asstel – l’Associazione di categoria aderente a Confindustria che rappresenta la Filiera delle telecomunicazioni – ritenga che l’approvazione dell’emendamento al Ddl Concorrenza costituisca un passo importante per la filiera delle Tlc e per il sistema Paese: «Nel nostro Paese il limite di emissione per i campi elettromagnetici è fermo dal 2003 a 6 V/m, risultando il più restrittivo tra i Paesi dell’Unione Europea. Questa misura rappresenta un segnale significativo per lo sviluppo e per l’innovazione del Paese. Apprezziamo l’attenzione del Governo su questo importante intervento e auspichiamo che il percorso legislativo possa concludersi positivamente», ha dichiarato l’associazione.
L’UE ha fissato i limiti di esposizione ai campi elettromagnetici a 61 v/m: 12 Stati (Portogallo, Spagna, Francia, Irlanda, Germania, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Romania, Finlandia, Estonia, Cipro) hanno seguito le raccomandazioni UE; cinque stati non hanno fissato limiti o li hanno fissati più alti delle raccomandazioni Ue (Olanda, Danimarca, Svezia, Lettonia, Austria) e otto hanno posto limiti più stretti rispetto alle indicazioni europee (Italia, Belgio, Slovenia, Croazia, Grecia, Bulgaria, Polonia, Lituania). L’Italia resterebbe quindi al di sotto del limite europeo. Secondo il Mimit (Ministero delle Imprese e del Made in Italy), l’innalzamento dei limiti garantirebbe “il miglioramento della qualità del servizio (in termini di copertura) fin da subito, con effetti positivi sui cittadini in termini di voce e dati, riducendo l’impatto economico sugli operatori e la proliferazione di antenne sul territorio”. A causa dei limiti di emissione il 62% dei siti esistenti nelle aree urbane sarebbe risultato non aggiornabile al 5G e gli extracosti per realizzare la coperture ammonterebbero a circa 1,3 miliardi di euro per operatore.
Secondo i sostenitori dell’innalzamento dei limiti elettromagnetici, le esposizioni non avrebbero particolari conseguenze sulla salute dei cittadini. Tuttavia, gli studi sono ancora in corso, in quanto la comunità scientifica concorda sul fatto che sono necessari ulteriori approfondimenti, mentre secondo altre ricerche, l’esposizione a campi elettromagnetici troppo elevati implicherebbe rischi per la salute, come cancro, riduzione della fertilità e perdita di memoria. L’Alleanza Stop 5G, ad esempio, ricorda che nel 2011 l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) dell’Organizzazione Mondale della Sanità ha classificato le onde non ionizzanti a radiofrequenza come “possibili cancerogeni” inserendoli nel gruppo 2B. Inoltre, entro 2-3 anni, attraverso le “Raccomandazioni del gruppo consultivo sulle priorità per la Monografia IARC” per il periodo 2020-2024, è prevista la rivalutazione della classificazione per portarla eventualmente a Classe 2A (probabili cancerogeni) se non addirittura in Classe 1 (cancerogeni certi), facendo seguito ai nuovi dati epidemiologici e soprattutto sperimentali contenuti nel rapporto finale del National Toxicology Program. Non c’è ancora, dunque, un quadro unitario e certo sugli effetti del cosiddetto “elettrosmog”.
Anche le opposizioni si sono attestate sulle posizioni di difesa del principio di precauzione, contestando l’emendamento. «Riteniamo inaccettabile il blitz con cui la maggioranza ha dato l’ok all’emendamento Pogliese che alza le soglie dei campi elettromagnetici per lo sviluppo della rete 5G», si legge in una nota di Pd, M5S e Avs in cui si aggiunge anche che «due mesi fa, un pool di scienziati aveva già elencato i potenziali rischi di un eventuale innalzamento con una nota pubblica». Il dibattito, dunque, è ancora in corso e le pressioni di diverse associazioni come Legambiente, Codacons e Stop 5G possono influenzare l’iter della misura approvata in Senato: l’emendamento, infatti, dovrà ancora affrontare un iter parlamentare di 120 giorni prima della firma di un DPCM nel 2024 che renderebbe definitivo il provvedimento.
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