La sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite è sempre stata un appuntamento cruciale per le diplomazie europee e per il resto del mondo. In Italia, la Direzione Generale Affari Politici lavorava a tempo pieno per permettere al Governo di strappare fette di attenzione e confermare lo status faticosamente conquistato dopo la sconfitta nella seconda guerra mondiale. Il palcoscenico del mondo aveva bisogno di attori importanti. I bilaterali tra le maggiori potenze decidevano i destini del mondo. Il dialogo con il sud globale avveniva in questo contesto che riusciva ancora a ribadire l’importanza del multilateralismo al fine di prevenire le guerre e assicurare che il diritto internazionale si imponesse in molti casi sull’uso della forza. Garantire i diritti degli Stati più deboli contro i più forti era l’utopia più bella a cui in parte le normative ONU facevano appello.
La settantottesima sessione dell’Assemblea Generale ONU del settembre 2023 è emblematica di come si viva oggi un interregno tra un mondo i cui contorni non sono ancora netti all’orizzonte e un microcosmo in lento disfacimento da anni, il cui declino dopo la guerra in Ucraina sembrerebbe accelerato.
Dei cinque membri permanenti del CdS sono presenti al più alto livello solo gli USA con un Presidente il cui fragile stato di salute mentale è ormai di dominio pubblico. Non solo la Cina e la Russia ma anche Francia e Regno Unito sembrano avere compreso che fori alternativi, dai BRICS al G20, sono più efficaci e produttivi di decisioni per gli interessi contrapposti dei leviatani che si agitano in un mondo multipolare nel quale le antiche norme stanno perdendo di credibilità.
I Paesi emergenti sembrano non stare più al gioco dell’Occidente e incarnano un polo di attrazione per il cosiddetto sud globale.
Anni e anni di Segretari Generali delle Nazioni Unite sottomessi ai voleri del Paese egemone; anni e anni di strumentalizzazione a proprio vantaggio dell’organizzazione da parte degli USA e dei suoi alleati; anni e anni di neocolonialismo impudente che dietro le formule astratte ha salvaguardato il potere dei pochi forti in grado di sfruttare le risorse dell’Africa (si pensi al Sahel) con la connivenza delle elites e contro i popoli africani; anni e anni di formule ridicole e trionfo della burocrazia che poco hanno fatto per il contrasto alla povertà e ai cambiamenti climatici; anni e anni di sistematica violazione delle norme ONU da parte degli USA, che senza cercare una mediazione in CdS, hanno mostrato il più allarmante disprezzo per gli altri membri, persino per gli alleati Francia e Germania in occasione della guerra in Iraq, e hanno portato avanti azioni criminali in Serbia, Afghanistan, Iraq, Siria, Libia; anni e anni di menzogne e doppi standard hanno lasciato solo cenere e macerie.
Oggi lo spettacolo deprimente di un’ Organizzazione Internazionale che rantola è sotto gli occhi di tutti. Nell’aula mezza vuota Zelenski appare un attore triste e questa volta poco arrogante. Difficile provare pietà per una elites che avrebbe potuto salvaguardare il benessere dei propri cittadini se non avesse assecondato gli interessi di potenze straniere. Essere amici degli Americani può essere fatale ancora di più che esserne nemici: si tratta di un detto di Kissinger. Povero popolo ucraino! Poveri ragazzini di diciotto anni costretti dalla legge marziale all’eroica resistenza-osannata senza pudore da molti media. Certo i ragazzi russi non hanno un destino differente ma muoiono, come il colonnello McGregor afferma, in percentuali ridotte rispetto agli ucraini.
Meglio chiarire subito l’equivoco. Non vogliamo un mondo nel quale al dominio americano si sostituisca quello della Cina o della Russia. Vorremmo un Occidente sano. USA e gli alleati europei dovrebbero procedere alle riforme della governance mondiale, istituzionale, politica e monetaria al fine di tener conto dei nuovi sviluppi e di un sud del mondo che chiede rappresentanza. Bisogna deporre l’ascia, dialogare e riformare.
Slogan come: l’eccezionalismo USA, la potenza indispensabile, l’Europa giardino vanno messi definitivamente da parte. Ci sono delle proposte razionali che provengono da Johannesburg. Bisogna raccoglierle. Le guerre di esportazione della democrazia, i progetti di regime change dei neoconservatori vanno rinnegati pubblicamente. Non basta chiedere scusa per la Libia come il Premio Nobel Obama ha fatto per poi dare inizio con Biden a una nuova guerra di esportazione della democrazia, questa volta nel cuore dell’Europa. Deve finire la mentalità da guerra fredda. Ascoltiamo la saggezza cinese e torniamo nella sostanza ai principi della Carta ONU, ai principi di Helsinki. Ci vuole una nuova élite in Europa che possa perseguire obiettivi diversi. Il neoliberismo ha mostrato il suo vero volto. Con la cobelligeranza e l’inerzia sulle riforme (istituzionale, governance monetaria, politica comune dell’immigrazione) l’Europa ha distrutto gli stessi valori per cui era nata a cominciare da pace e prosperità. Crediamo però sia ancora possibile cambiare lo stato delle cose e perseguire il bene comune.
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