Il TAR del Lazio ha bocciato il decreto del governo Meloni che, due mesi fa, aveva equiparato i prodotti per uso orale a base di cannabidiolo a sostanze stupefacenti, vietandone il commercio. I giudici amministrativi hanno infatti accolto un ricorso presentato dall’associazione Imprenditori Canapa Italia (Ici), disponendo la sospensione del decreto e rendendo nuovamente consentito il commercio dei prodotti. La sentenza ha stabilito l’inefficacia del provvedimento fino alla camera di consiglio, che si terrà il prossimo 24 ottobre.
Tutto è partito lo scorso agosto, quando il ministero della Salute ha revocato la sospensione di un decreto approvato il 1° ottobre 2020 che aveva inserito nella tabella dei medicinali allegata al testo unico sugli stupefacenti le “composizioni per somministrazione ad uso orale di cannabidiolo (CBD) ottenuto da estratti di cannabis”, sempre più spesso utilizzati come rilassanti. In seguito alle proteste sollevatesi, quattro settimane dopo il decreto era stato sospeso, ma in estate il governo Meloni ha deciso di ridargli piena validità . Dall’entrata in vigore del testo, pubblicato il 20 settembre in Gazzetta Ufficiale, essendo diventata illegale anche la detenzione all’interno dei punti vendita, erano scattati perquisizioni e sequestri da parte delle forze dell’ordine. Ici ha dunque partorito un ricorso in cui ha definito “illegittimo” il decreto a causa della mancanza del parere dell’Iss, che “è richiesto dalla vigente normativa e, già nel 2020 ritenuto necessario dal ministero della Salute, che aveva sospeso l’inserimento in tabella delle composizioni in attesa di ulteriori approfondimenti scientifici e senza che sia stato chiarito dalle autorità se gli effetti del cannabidiolo varino con la percentuale di utilizzo”. L’associazione ha inoltre contestato “in via generale, la decisione di ricondurre il cannabidiolo tra le sostanze stupefacenti o psicotrope”, che, si legge nel testo del ricorso, “si pone in contrasto con la giurisprudenza comunitaria che ha escluso che il cannabidiolo possa costituire uno stupefacente ai sensi del diritto europeo e con le posizioni assunte dall’Organizzazione Mondiale della Sanità “. E il TAR le ha dato ragione.
In effetti, nel novembre 2020, in un’importante pronuncia la Corte di giustizia dell’Unione Europea aveva affermato che i prodotti a base di CBD non devono essere considerati come stupefacenti, sottolineando che “il divieto di commercializzazione del CBD costituisce una misura di effetto equivalente a restrizioni quantitative delle importazioni, vietata dall’articolo 34 TFUE”. La stessa Organizzazione mondiale della sanità , in un report di pochi anni prima, aveva asserito che il CBD, non provocando effetti collaterali sulla salute degli esseri umani, è ben tollerato dall’organismo, evidenziando la sua potenziale applicazione in ambito medico. Gli effetti analgesici e antinfiammatori della sostanza, in grado di ridurre la percezione del dolore e di agire come ansiolitico, calmante e anticonvulsionante, sono ormai attestati da anni.
«Ci auguriamo che il 24 ottobre la camera di consiglio del TAR del Lazio confermi la sospensiva del decreto ministeriale che colpisce un’intera filiera: dai produttori alla vendita al dettaglio, mettendo a rischio anche posti di lavoro», ha dichiarato Raffaele Desiante, presidente di Ici.
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