Di Andrea Muratore
C’è un giudice a Berlino, anzi c’è un leader al Palazzo di Vetro: la gestione della crisi Israele-Hamas da parte di Antonio Guterres mostra quanto il segretario generale dell’Onu si confermi figura capace di distinguersi dalla paralisi politica in cui le Nazioni Unite sono portate dal crescente clima di competizione globale.
Guterres si è mosso attivamente per invocare una soluzione politica al conflitto tra Israele e Hamas. Criticando duramente le manovre jihadiste del 7 ottobre ma anche ricordando la “soffocante occupazione” in cui non lui ma le carte dell’Onu stesso confermano si trovi la Palestina, perlomeno nei territori di riferimento per la colonizzazione da parte di Tel Aviv. Guterres punge il nervo scoperto del governo di Benjamin Netanyahu, la pretesa di impunità per qualsiasi mossa in reazione al massacro del 7 ottobre e la volontà di sdoganare, con l’attacco a Gaza, un disegno più ampio della comprensibile risposta ad Hamas. Guterres è vox clamantis in deserto per la pacificazione globale, invita dalla cattedra dell’Onu al concerto delle potenze e a raccogliere le lezioni della storia.
Guterres si è mosso dall’inizio per garantire lo jus in bello e soprattutto la continuità dell’assistenza umanitaria a Gaza. La cui interruzione, del resto, avrebbe garantito un assist propagandistico senza precedenza agli islamisti. L’ex premier portoghese, 74 anni, parla da leader post-occidentale di un’istituzione globale chiamato a smussare tensioni e problemi, a strutturare risposte concrete. Joe Biden ha accolto l’appello e colto chiaramente la necessità che bisogna evitare la prospettiva che la politica cominci a plasmare il modo in cui gli aiuti umanitari vengono dati o inviati
L’Onu e le sue agenzie si sono mosse notando l’aumento del rischio di malattie come il colera a causa del collasso dei servizi idrici e igienico-sanitari di Gaza. Guterres ha colto politicamente la possibilità di agire, perlomeno limitatamente, per tutelare il principio di minimizzazione del danno umano alla popolazione di Gaza.
Non è la prima volta che Guterres, quest’anno, ammonisce contro il fazionismo che sta deteriorando le relazioni internazionali. A febbraio nel suo discorso programmatico per il 2023 il capo delle Nazioni Unite ha esordito riferendosi alla notizia che il simbolico Orologio dell’Apocalisse – sviluppato più di 75 anni fa dagli scienziati atomici per misurare la vicinanza dell’umanità alla mezzanotte, o autodistruzione – era a soli 90 secondi da quell’ora. L’invasione russa su vasta scala dell’Ucraina, l’emergenza climatica, le crescenti minacce nucleari e l’indebolimento delle norme e delle istituzioni globali hanno spinto il mondo più vicino all’annientamento, ammonì allora. Il caso Israele-Hamas si inserisce in quest’ottica in un quadro grande e tragico, in cui il mondo deve farsi pompiere, e non incendiario.
Guterres media tra diritto a uno Stato per palestinesi e israeliani e tragedia della cronaca smentendo la tesi degli opposti estremisti, Hamas e l’ultradestra israeliana, circa l’inevitabilità di un finale “tutti contro tutti” e di un bagno di sangue in Terra Santa. Valgono ora più che mai le sue parole pronunciate al Palazzo di Vetro a febbraio: “Questo è il momento in cui l’orologio si è avvicinato all’ora più buia dell’umanità, più vicino di quanto non sia mai stato durante l’apice della Guerra Fredda. In verità, l’Orologio dell’Apocalisse è una sveglia globale. Dobbiamo svegliarci e metterci al lavoro“, ha detto. E il segretario ha provato a andare oltre la paralisi dell’Onu dovuta al braccio di ferro Usa-Russia interno al Consiglio di Sicurezza. L’accordo sul grano mediato assieme alla Turchia nel 2022, le aperture su Gaza oggi e un approccio propositivo verso i Paesi membri sono la voce nel deserto dell’Onu che troppo a lungo è mancata. Nell’era del deterioramento delle relazioni internazionali, dunque, la figura di Guterres spicca, muovendosi in direzione ostinata e contraria contro le logiche di un mondo che ha elevato la rivalità a Stella Polare.
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