Indietro tutta di Lego sul green: la svolta ambientalista del gigante danese dei giocattoli per bambini è costata 1,2 miliardi di dollari e non ha prodotto risultati. E dunque ora l’azienda famosa per i mattoncini e le costruzioni che hanno affascinato milioni di persone in giro per il mondo fa dietrofront sul suo ambizioso progetto di produzione di mattoncini Lego da bottiglie di plastica riciclate.
I dubbi sul polietilene
Lego proponeva di produrre mattoncini “sostenibili” con il polietilene tereftalato (Pet) e aveva investito per sviluppare delle linee volte a creare una serie di prodotti adatti a elevati standard di sostenibilità e efficienza. L’azienda nel giugno 2021 aveva svelato il progetto aprendo a una versione di Pet ottenuta dopo aver testato 250 diverse leghe per creare il mix ritenuto perfetto.
Grandi annunci avevano contraddistinto la notizia della svolta green di Lego che aveva fissato in 24 mesi il termine per la messa in linea dei nuovi mattoncini sostenibili di due per quattro centimetri. Annunciando che da una singola bottiglia riciclata se ne sarebbero potuti produrre fino a dieci. Ma a giugno 2023 nulla era arrivato in produzione, e Lego tre mesi dopo ha alzato bandiera bianca sul progetto.
Il motivo non è industriale ma di sostenibilità: semplicemente, il Pet non permette di costruire mattoncini “green”. Anzi, i prototipi non sono stati ritenuti in grado di contribuire a un’ambiziosa strategia di decarbonizzazione che vede Lego impegnata a tagliare entro il 2032 del 37% le sue emissioni di carbonio.
Anche il green è soggetto al rischio d’impresa
Lego è del resto un’azienda che sulla sostenibilità ha dato prova di poter produrre buoni risultati. La società è riuscita a ridurre le proprie emissioni di biossido di carbonio del 15% tra il 2012 e il 2022. L’azienda si è inoltre impegnata a raggiungere la neutralità climatica entro il 2025, ma chiaramente questo obiettivo è reso complesso dal testacoda sulla strategia green. L’azienda dovrà continuare a preferire Giulio Natta a Greta Thumberg, a usare la plastica prodotta col petrolio per dilettare i bambini di tutto il mondo con gli iconici mattoncini.
Fa parte del rischio d’impresa, a cui nemmeno la transizione green sfugge: da un lato la lezione di Lego è che molto spesso la scelta è tra utopia e realismo. E che nel mercato esistono soluzioni vincenti e altre non premiate dai fatti: il caso dei mattoncini “green” lo testimonia. E Lego ha fatto bene a non inseguire l’utopia green a tutti i costi creando un rischio di ipocrisia e un sostanziale spreco dei suoi investimenti. Visto che non sarebbe stato sufficiente creare mattoncini col Pet per produrre meglio, con minore impatto ambientale e maggiore efficienza, meglio ripartire dai risultati già consolidati.
Come riporta il Financial Times, infatti, “il produttore di giocattoli danese inizialmente aveva l’obiettivo di eliminare tutte le materie plastiche a base di petrolio nei circa venti materiali che utilizza nei suoi set di gioco entro il 2030” in quest’ottica, “ha fatto un rapido inizio nel 2018 sostituendo il polietilene a base di petrolio con una versione a base vegetale della stessa plastica che utilizza in circa venti pezzi diversi tra cui alberi e cespugli”, ma difficilmente potrà arrivare alla sostituzione completa. Ora si sta impegnando per ridurre le plastiche monouso e aumentare la lotta agli sprechi di materiali, energia e semilavorati nei suoi uffici e impianti. Obiettivi realistici e dignitosi da perseguire: non serve immaginare rivoluzioni, basta il pragmatismo. La transizione avverrà solo se la si costruirà mattone su mattone. Un modello che da tempo Lego insegna.
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