Sono emersi ulteriori dettagli circa la pressione indebita degli Stati Uniti sul Pakistan per far allineare il Paese dell’Asia meridionale alle posizioni occidentali, soprattutto per quanto concerne il conflitto in Ucraina: Islamabad avrebbe, infatti venduto armi agli Stati Uniti, in cambio di un prestito da parte dell’FMI facilitato dalla mediazione degli USA. Il tutto sarebbe stato stipulato in un accordo segreto tra le due nazioni, confermato da documenti interni dei governi e divulgato dal media d’inchiesta The Intercept. Le armi, in particolare le munizioni, sarebbero state destinate all’esercito ucraino, considerata la penuria di materiale bellico in cui versavano le truppe di Kiev in vista della controffensiva. L’accordo segreto conferma non solo le pressioni degli Stati Uniti su Islamabad per sostenere l’Ucraina – vero motivo che ha portato alla rimozione nell’aprile 2022 del legittimo primo ministro Imran Khan – ma anche il fatto che gli aiuti dell’FMI sono strumentalizzati per esercitare pressioni politico-militari sugli Stati che hanno bisogno di finanziamenti. Si conferma così l’utilizzo dei prestiti come uno strumento di influenza e controllo da parte degli Stati Uniti per orientare le scelte politiche e geopolitiche.
Non a caso, dopo la destituzione di Khan – incoraggiata dagli stessi Stati Uniti – il Pakistan è di nuovo rientrato nell’orbita di Washington finendo per dare sostegno alla causa Ucraina e ottenendo, all’inizio di quest’anno, la sua ricompensa sotto forma di aiuti economici dell’FMI. Il prestito ha permesso a Islamabad di scongiurare un imminente fallimento sul debito estero a luglio e, sul piano politico, di rimandare indefinitamente le elezioni. Tuttavia, le dure riforme strutturali all’insegna dell’austerità richieste dall’FMI in cambio dei prestiti hanno scatenato le proteste dei pakistani: l’istituto finanziario di Washington, infatti, ha posto, tra le altre, come condizione per ottenere i prestiti la fine dei sussidi per il carburante. Questo ha portato a un’impennata dei prezzi dei beni energetici e a un’ondata di proteste anche violente tra la popolazione.
«La democrazia pakistana potrebbe alla fine essere una vittima della controffensiva dell’Ucraina», ha affermato Arif Rafiq, studioso presso il Middle East Institute e specialista del Pakistan. Non stupisce che Islamabad abbia fornito armi agli USA per rifornire l’esercito ucraino, in quanto il Paese è noto come centro di produzione delle munizioni necessarie per la guerra ed è altresì noto che l’esercito di Kiev affrontasse una carenza strutturale di munizioni. Naturalmente i governi di entrambi i Paesi hanno negato l’accordo segreto, ma The Intercept afferma di avere ottenuto documenti dettagliati sulle transazioni di armi all’inizio di quest’anno da una fonte interna all’esercito pakistano. I documenti descriverebbero le vendite di munizioni concordate tra Stati Uniti e Pakistan dall’estate del 2022 alla primavera del 2023 e sarebbero stati autenticati confrontando i contratti pakistani con quelli americani ed esaminando le rivelazioni pakistane sulle vendite di armi agli Stati Uniti pubblicate dalla Banca di Stato del Pakistan. In base ai documenti, gli accordi sulle armi sono stati mediati da Global Military Products, una filiale di Global Ordnance che ha rapporti di lunga data con l’Ucraina e che collabora con gli Stati Uniti per l’assistenza a Kiev.
I proventi derivanti dalla vendita delle armi hanno avuto un ruolo chiave nel contribuire a garantire il piano di salvataggio da parte dell’FMI: l’organizzazione finanziaria, infatti, aveva avvertito che per ottenere il prestito, il governo pakistano avrebbe dovuto raggiungere determinati obiettivi di finanziamento e rifinanziamento legati al suo debito e agli investimenti esteri. Islamabad doveva assicurare la garanzia del finanziamento esterno per circa sei miliardi di dollari: quattro li aveva ottenuti in impegni da parte dei Paesi del Golfo. Rimanevano dunque i restanti due miliardi: di questi, quasi la metà li ha recuperati dalla vendita di armi per un valore di 900 milioni di dollari. Gli Stati Uniti avrebbero quindi riferito all’FMI in via confidenziale il programma di vendita di munizioni del Pakistan. A questo punto, il 29 giugno, un giorno prima della scadenza del programma originale, l’FMI ha annunciato a sorpresa che avrebbe stipulato un accordo, chiamato “Stand-By Arrangement”, con meno vincoli, condizioni più favorevoli e un valore di tre miliardi di dollari, invece degli 1,1 miliardi inizialmente concordati. Tra le condizioni del prestito, però, c’era anche l’approvazione da parte del Parlamento pakistano di un aumento del 50% del costo dell’energia. Una tra le condizioni che hanno impoverito la popolazione, allargando ulteriormente la distanza tra cittadini e istituzioni.
Il tutto è avvenuto dopo la rimozione del presidente Imran Khan, che il 10 aprile 2022 venne sfiduciato dal Parlamento e poi arrestato. L’ex presidente stava cercando di negoziare condizioni migliori con l’FMI per i prestiti, mentre sul piano della politica estera stava ricollocando il Paese, storico alleato degli Stati Uniti, avviando maggiori legami con Russia e Cina e esprimendo neutralità sulla guerra in Ucraina. Una condizione che, oggi lo sappiamo, gli è probabilmente costata il posto e che – al di là del caso singolo – dimostra come istituzioni globali come il Fondo Monetario Internazionale siano tutt’altro che organizzazioni “pubbliche e universali” come da statuto, ma piuttosto emanazioni della politica estera statunitense.
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