11 settembre 1973. Il golpe in Cile spicca tra gli eventi della storia del Novecento che più sono rimasti impressi nell’immaginario collettivo ispirando generazioni di idealisti, e non solo, in tutto il mondo. Ricorre proprio in questi giorni il cinquantesimo anniversario della fine violenta dell’esperimento politico guidato dal presidente socialista Salvador Allende, del colpo di Stato appoggiato attivamente dalla Cia, dell’assalto dei militari a La Moneda nel cuore di Santiago e dell’inizio della spietata dittatura del generale Augusto Pinochet. Seppur ogni giorno più lontano nel tempo ogni singolo atto della tragedia cilena ha lasciato tracce ed eredità con le quali il Paese fa ancora i conti.
“Non mi dimetterò. Ripagherò la lealtà del popolo con la mia vita. Non dimenticate che prima o poi si apriranno di nuovo i grandi viali lungo i quali passerà l’uomo libero per costruire una società migliore”. Con queste parole pronunciate in un drammatico discorso di sette minuti alla nazione Allende salutò il Cile la mattina del colpo di Stato. Gli ultimi istanti della sua esistenza sono ancora un mistero. La versione ufficiale è che si sia suicidato prima di cadere in mano ai militari, per altri fu ucciso.
In ogni caso a partire dalla sua morte la figura di Allende assurge a simbolo del comunismo internazionale e martire di una dittatura che già nei suoi primi passi mostrava di quali atrocità sarebbe stata capace. Secondo le stime ufficiali la giunta di Pinochet uccise 2130 persone e ne torturò nei modi più sadici possibili almeno 30mila. Si persero le tracce di 1500 cileni. Diffusa era la pratica di far sparire le vittime trucidate in fosse comuni, in mare o nel cratere di un vulcano. Dalla fine del regime militare solo 307 corpi sono stati identificati e restituiti alle famiglie.
Durante la dittatura che governò sino alla fine degli anni Ottanta maturarono le condizioni per un’alleanza tra i socialisti e i cristiano-democratici. L’alleanza tra i due partiti, la cosiddetta Concertación, guiderà il ritorno del Paese alla democrazia garantendo una crescita media annua del Pil del 5% tra il 1990 e il 2012. Il tasso di povertà, al 68% nel 1990, crollerà nel 2022 al 7%. Le distorsioni economiche e le proteste degli studenti del 2011 convinceranno però il presidente socialista Michelle Bachelet – suo padre fu ucciso negli anni del regime di Pinochet – ad allargare la coalizione al partito comunista. Nel 2019 l’esplosione di nuove impressionanti proteste, l’estallido social, permetterà a Gabriel Boric, giovane candidato di centrosinistra, di incarnare il desiderio di cambiamento della popolazione e di ottenere la presidenza nel 2021.
Il Cile di oggi è lontano anni luce dagli orrori della dittatura di Pinochet. Il governo cileno ha appena annunciato l’istituzione di un piano nazionale per la ricerca dei desaparecidos. “Questa è la prima volta che lo stato ha assunto la responsabilità per la ricerca, (un passo) essenziale perché i crimini furono commessi dallo stato e dai suoi agenti”. Così Luis Cordero, ministro della giustizia, ha presentato il plan nacional de búsqueda. Due membri della sua famiglia furono rapiti cinquant’anni fa e da allora risultano ancora scomparsi.
Boric rivendica con orgoglio Allende come suo padre politico. Il giorno dell’inaugurazione del suo mandato ha reso omaggio alla statua dedicata al leader che nel 1970 aveva proclamato “la via cilena al socialismo”. La memoria dell’11 settembre 1973 risulta però oggi più divisiva che mai. Un sondaggio Mori ha rivelato che per il 42% degli intervistati il colpo di Stato ha distrutto la democrazia e il 36% ritiene abbia liberato il Cile dal marxismo. Nel 2006 le percentuali erano rispettivamente del 68% e del 19%. Il presidente, che nel frattempo ha incassato la sonora bocciatura della sua proposta di riforma costituzionale, ha un arduo compito davanti a sé. Mantenere viva la memoria di un Paese che sta già cominciando a dimenticare.
FONTE: https://it.insideover.com/storia/1973-2023-il-cile-a-50-anni-dal-golpe-di-pinochet.html
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