Il Consiglio dei Ministri svoltosi nella serata di ieri, 7 agosto, ha approvato il decreto legge “Asset e Investimenti” ma con una novità: la norma che chiedeva un innalzamento dei limiti elettromagnetici per i ripetitori della rete internet 5G, inclusa nella bozza del provvedimento, non compare nel documento delle misure approvate. La bozza prevedeva che, entro 120 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto, i limiti sarebbero stati “adeguati alla luce delle più recenti e accreditate evidenze scientifiche”, rimanendo nel rispetto delle regole UE. Il limite sarebbe stato innalzato, ma nel testo non era specificato di quanto. La sola circolazione della bozza aveva rilanciato la battaglia sul tema, portando alle proteste di diversi movimenti per la salute e l’ambiente, nonché all’annuncio di battaglia parlamentare da parte dell’Alleanza Verdi e Sinistra. Il governo quindi, almeno per ora, ha deciso di non assumersi la paternità politica di un provvedimento divisivo e controverso.
Il 5G rappresenta la quinta generazione della tecnologia cellulare. È stato implementato con lo scopo di ridurre la latenza, migliorare la flessibilità dei servizi wireless e incrementare la velocità di connessione, che può raggiungere picchi 20 volte superiori rispetto alla tecnologia di generazione inferiore (il 4G). Il valore massimo delle emissioni elettromagnetiche raccomandato (e non vincolante) dall’Unione Europea è di 61 volt per metro, risale al 1999 ed è coerente con le linee guida internazionali. La soglia è circa 50 volte inferiore rispetto alla potenza che, secondo gli studi scientifici, potrebbe produrre effetti potenzialmente nocivi. In Europa 12 paesi hanno seguito le raccomandazioni fissando il limite a 61 volt per metro e altri 5 non hanno addirittura fissato limiti o li hanno fissati più alti rispetto alle linee guida. L’Italia è invece uno degli 8 paesi che hanno posto limitazioni più stringenti: con la legge quadro 36 del 2001 e il Dpcm dell’8 luglio del 2003 il limite massimo è di 6 volt per metro, cioè circa 5.000 volte inferiore rispetto alle soglie considerate potenzialmente nocive.
Chi è a favore della diffusione della tecnologia 5G e dell’innalzamento dei limiti elettromagnetici basa le sue argomentazioni su efficacia, sicurezza e sviluppo tecnologico e ambientale: i cellulari godrebbero di una maggiore copertura, di un ritardo nel trasferimento di dati (latenza) minore e si eliminerebbe il processo di ricerca continua di un segnale migliore, che comporta il risparmio di energia e di batterie. Aumentare i limiti elettromagnetici aiuterebbe anche coloro che vivono in zone a velocità lenta, come i paesi montani. Marco Bussone, presidente nazionale dell’Unione nazionale comuni comunità enti montani, organizzazione nazionale che rappresenta le città e le comunità montane ha sottolineato che avere una minore copertura significa meno risorse e meno opportunità per i lavoratori. Per quanto riguarda la sicurezza, nel 2020 l’ICNIRP (Commissione Internazionale per la Protezione dalle Radiazioni Non Ionizzanti) ha confermato che il livello di emissioni applicato finora (quello cioè 10 volte superiore all’attuale limite italiano) non ha presentato danni per la salute e non sono stati rilevati effetti a lungo termine significativi. Infine, i limiti attuali provocherebbero anche danni ambientali: Assotelecomuncazioni (Asstel), associazione di categoria che rappresenta le telecomunicazioni nel sistema di Confindustria e che già da febbraio 2022 aveva richiesto di innalzare la soglia consentita adeguandola a quella europea (61 volt per metro), ha più volte espresso che il risultato dei limiti italiani «è che gli operatori nostrani sono costretti a installare ripetitori meno potenti e quindi in numero maggiore, con costi più elevati, tempi di realizzazione più lunghi e maggiore impatto ambientale». La posizione di Asstel è sostenuta da uno studio del Politecnico di Milano che ha stimato che i limiti italiani imporrebbero la necessità di 27.900 interventi aggiuntivi e di 4 miliardi di euro a carico degli Operatori radiomobili.
Tra i contrari all’innalzamento del limite che hanno protestato da subito per la proposta contenuta nella bozza ci sono associazioni ambientaliste come Legambiente ed Europa Verde ma non solo: un gruppo di 50 esperti di effetti biologici dei campi elettromagnetici ha firmato un appello per chiedere al governo di “adottare limiti di legge adeguati alla salute della popolazione”. Legambiente ha avviato una petizione a cui hanno già aderito Stefano Ciafani (presidente di Legambiente), Pietro Comba e Fiorella Belpoggi dell’Istituto Ramazzini di Bologna, Roberto Romizi (presidente dell’Associazione Italiana Medici per l’Ambiente), Rosalba Giugni (presidente di Marevivo) e Fausto Bersani Greggio (fisico e consulente di Federconsumatori Rimini). Legambiente ha chiesto l’applicazione del principio di precauzione al quale si richiamano sia l’Agenzia Europea per l’Ambiente sia l’Organizzazione Mondiale della sanità e che prevede di non alterare le misure di riduzione fino al completamento di ulteriori ricerche. L’associazione ha ricordato le criticità rilevate dallo studio dell’Istituto Ramazzini di Bologna e la Monografia del 2013 dell’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC), che sulla base di numerosi articoli scientifici definisce i campi elettromagnetici come “possibilmente cancerogeni per l’uomo”. Angelo Bonelli invece, portavoce di Europa Verde e deputato alla Camera per Alleanza Verdi e Sinistra, ha sottolineato le criticità riguardanti la legge e non il problema in sé della tecnologia: «Il problema è che negli altri Stati questi valori sono misurati sui picchi massimi mentre in Italia la legge è stata modificata e questi valori vengono misurati su tutta la giornata. Significa che a fare la media concorrono anche le ore notturne, dove il traffico di telecomunicazioni ad alta frequenza praticamente si azzera, e quindi questo comporta che i picchi durante la giornata in Italia arrivano ad essere molto molto alti». Il deputato contesta anche che al monitoraggio ci doveva essere la Fondazione Bordoni, «di cui una parte dei componenti ha avuto rapporti di lavoro con le società di telecomunicazione».
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