Quando la nebbia di guerra sul caso dell’incidente aereo in cui, secondo le autorità russe, avrebbe perso la vita Evgeniy Prigozhin assieme a Dmitry Utkin, cinque altri membri del gruppo Wagner e tre membri dell’equipaggio di un Embraer privato si sarà diradata ci saranno molte domande a cui rispondere.
Domande che attengono alla gestione dei rapporti tra Prigozhin e Vladimir Putin, all’infinita giornata a cavallo tra il 23 e il 24 giugno scorso in cui il comandante mercenario si era ribellato al governo, alle scorse settimane di tensione seguita all’intentona de golpe di Prigozhin e al disastro aereo di Tver.
Venti domande, per la precisione. Una serie di quesiti che – aggiungiamo – sono il centro del lavoro di analisi e approfondimento e dovrebbero essere il punto di partenza di uno studio che troppo spesso si focalizza sulla fine piuttosto che sull’inizio, dando adito a un dibattito semplicistico.
Il principio sta nella fine: che prove ci sono – effettive – della morte di Prigozhin? Prove – aggiungiamo – che vadano oltre le dubbie dichiarazioni delle autorità russe delle prime ore dopo la tragedia di Tver. E ancora: chi viaggiava sul secondo aereo che sarebbe volato in parallelo all’Embreaer precipitato tra Mosca e San Pietroburgo, partito dall’Africa e riconducibile alla Wagner? Perché le autorità russe sono state così solerti a pubblicare la lista dei passeggeri del volo precipitato e non hanno comunicato nulla sul secondo aereo? Perché Prigozhin non ha arruolato per il volo il suo pilota ufficiale e per che motivo le autorità russe lo hanno immediatamente messo sotto indagine? Cosa ci faceva Prigozhin in Africa e in che Paese si trovava quando ha mandato il suo ultimo comunicato ufficiale?
E ancora, d’altro canto, perché immediatamente prendere per buona, in Occidente, la notizia data dai russi della morte di Prigozhin senza colpo ferire? E perché dall’altro costruire senza alcuna prova il teorema della responsabilità esclusiva di Putin? Certamente, dall’invasione dell’Ucraina Putin ha accumulato un’immagine – comprensibilmente – tutt’altro che positiva. Ma un conto sono i sospetti, un altro l’analisi reale.
Via dicendo, Perché non indagare sulla differenza tra possibilità di morte di Prigozhin tramite incidente, abbattimento, sabotaggio o attentato dinamitardo? Perché non cercare la risposta nella poliarchia di potere russa? Analisti come Stephen Bryen hanno parlato – ad esempio – della possibilità che il ruolo centrale nell’operazione possa essere stato dal Gru – l’intelligence militare – e pochi in Italia hanno posto in essere il tema della complessa architettura di potere russa e delle lotte al suo intero (tra i pochi l’amico Roberto Vivaldelli su MowMag).
E ancora: perché la stampa e la pubblica opinione hanno assecondato il silenzio posto subito sulla vicenda dai media russi? Si sta monitorando il movimento della Wagner tra Ucraina, Bielorussia e Africa? Che cosa si erano detti Putin e Prigozhin nel loro ultimo incontro e cosa può c’entrare col presunto redde rationem del 23 agosto?
Molto si è detto del ruolo della Wagner in Bielorussia: che informazioni ha dato il gruppo mercenario a Aleksandr Lukashenko per indurre il presidente di Minsk a dirsi certo dell’estraneità di Putin alla presunta eliminazione di Prigozhin? In che misura il capo di Stato bielorusso ha accettato di ospitare i Wagner senza che Prigozhin accettasse garanzie alla sicurezza? Cosa pensava di guadagnare Lukashenko dall’ospitalità data ai miliziani?
In questa retrospettiva, possiamo arrivare ai dubbi sugli eventi che hanno portato ai fatti magmatici del 23-24 giugno e alla sua coda problematica: come mai Putin ha lasciato infettarsi il bubbone dei rapporti tesi tra Wagner e Difesa russa prima e dopo il carnaio di Bakhmut? Cosa sapeva (o sa) Prigozhin che l’ha reso indispensabile al Cremlino? E ancora, perché Prigozhin ha spinto su Putin per far restituire dagli Usa il “mercante di morte” Viktor Bout (qui un ritratto a cura del caro Gian Marco Boellisi su questo inquietante personaggio), tra i più noti trafficanti di armi al mondo, in uno scambio con la giocatrice di basket Brittney Griner arrestata in Russia lo scorso anno? Che cosa c’entra l’asse Prigozhin-Bout con la richiesta della Wagner di nuove armi e con il suo attivismo africano? Chi ha attirato Prigozhin al tentativo di golpe di giugno? Che equilibri regnano nello Stato profondo russo, sotto Putin? E ora – in prospettiva – che significato ha l’incidente di Tver e la sua serie di conseguenze sul futuro del potere russo con la guerra in Ucraina ancora attiva e le presidenziali del 2024 sempre più vicine?
Venti domande per altrettante incognite accumulatesi in un Paese che continua a essere un rompicapo per analisti e studiosi. Su cui un’analisi superficiale o addirittura piena di preconcetti può impedire ogni avvicinamento alla verità. Il compito di analisti e studiosi è farsi domande. Umilmente, in un mondo che ha già a priori risposte e sentenze, preferiamo metterci dal lato di chi pone interrogatori. Per poter capire le grandi questioni del presente, come il caso Prigozhin, in maniera articolata e complessa. Viviamo in un mondo in cui farsi domande è un po’ demodé, così come muovere alla ricerca di verità approfondite sul medio-lungo periodo. Ma meglio qualche Tweet in meno e qualche pensiero in più, di questi tempi.
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