Le parole sull’Ucraina di Stian Jenssen, direttore dell’ufficio privato del segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, agitano le acque dei rapporti tra Occidente e Ucraina. In un incontro con alcuni giornalisti, l’alto funzionario dell’Alleanza atlantica ha suggerito infatti una possibile soluzione per il futuro di Kiev: quella della rinuncia di una parte del proprio territorio ormai occupato dalla Russia per ottenere l’adesione alla Nato.
Per Jenssen, arrivati a questo punto è “irrealistico” che i russi possano conquistare nuovi territori, dato l’enorme impegno militare di Mosca e lo stallo dell’offensiva. Allo stesso tempo però, nella Nato sono consapevoli che gli sforzi dell’Ucraina potrebbero non condurre alla totale liberazione dei territori conquistati dalle forze avversarie. E questo è un tema prioritario anche per capire quale possa essere la soluzione della guerra e soprattutto per comprendere la reale possibilità che l’Ucraina possa aderire alla Nato. Finché sarà in corso il conflitto e finché una parte di territorio sarà occupato, la Nato non potrà accogliere il Paese invaso nella propria alleanza.
“Ora è piuttosto una questione di cosa l’Ucraina riuscirà a riprendersi”, ha detto Jenssen, che sulla possibile cessione dei territorio ha continuato: “Non sto dicendo che debba essere così. Ma questa potrebbe essere una possibile soluzione”.
Le parole del capo dell’ufficio privato di Stoltenberg hanno sollevato, come era inevitabile, una polemica che ha coinvolto tanto Kiev quanto i comandi Nato. La rabbia del governo ucraino è stata sintetizzata da un post su “X” del consigliere presidenziale ucraino Mykhailo Podolyak, il quale ha definito “ridicolo” lo scambio di territorio per l’adesione all’Alleanza atlantica. “Ciò significa scegliere deliberatamente la sconfitta della democrazia, incoraggiare un criminale globale, preservare il regime russo, distruggere il diritto internazionale e tramandare la guerra ad altre generazioni” ha tuonato l’influente consigliere di Volodymyr Zelensky, da sempre ritenuto un “falco” dello staff del presidente ucraino. Dello stesso avviso il portavoce del ministero degli Esteri ucraino, Oleg Nikolenko, per il quale “i dibattiti sull’adesione dell’Ucraina alla Nato in cambio dell’abbandono di alcuni territori ucraini sono totalmente inaccettabili”
A Bruxelles, le parole di Jenssen hanno provocato soprattutto imbarazzo. Un portavoce Nato si è limitato a ribadire che la posizione del blocco euroamericano sull’integrità dell’Ucraina “non è cambiata” e che continuerà “a sostenere l’Ucraina finché sarà necessario” impegnandosi “a raggiungere una pace giusta e duratura”. Pace giusta che secondo i canoni espressi da Washington e dagli alleati europei significa anche il pieno rispetto del diritto internazionale e dei confini da esso definiti, ovvero quelli del 1991.
La domanda però che molti osservatori si pongono è come mai Jenssen, che di certo è uno degli uomini più vicini a Stoltenberg, abbia voluto manifestare un tale pensiero in un momento così delicato della controffensiva ucraina, ritenuta da molti inadeguata rispetto alle ambizioni di Kiev ma anche alle aspettative degli alleati occidentali. Parole che possono rappresentare una vera e propria doccia fredda alle aspirazioni di riconquista del governo Zelensky e che si sapeva avrebbero innescato polemiche molto dure alimentando inoltre l’idea di divisione tra obiettivi Nato e ucraini. Proprio mentre i russi continuano a bombardare il territorio ucraino e proprio mentre i dubbi iniziano a corrodere il supporto a Kiev.
Una svista da parte di Jenssen? Probabile. Anche se non è da escludere che il funzionario atlantico abbia in realtà voluto ribadire una linea che da tempo circola in seno all’Alleanza, e cioè quella del dubbio sulle reali possibilità della controffensiva ucraina.
Del resto, già molti mesi fa, in tempi non sospetti e ben prima dell’inizio delle operazioni estive ucraine, qualcuno – anche tra i cosiddetti “falchi” del Baltico – aveva sottolineato che non esistesse ancora una definizione chiara, in ambito Nato, del concetto di “vittoria ucraina”. Si è parlato di pace giusta, ma su questo punto molti politici e analisti hanno sottolineato una certa vacuità del termine di fronte a una realtà del campo di battaglia ben diversa. La controffensiva, con tutti i suoi ostacoli, sembra essere il preludio di una guerra che potrebbe durare ancora molto a lungo. E non è un mistero che in Europa, così come in altre parti del mondo, siano in molti ad auspicare una cessazione delle ostilità. D’altronde anche a Washington si avvicinano le elezioni presidenziali, e Joe Biden, che ha appena sbloccato ulteriori 200 milioni di dollari di aiuti militari all’Ucraina, deve presentarsi di fronte all’elettorato senza offrire troppi strumenti di propaganda al partito repubblicano. La politica estera, per gli Usa, è certamente un fattore importante per valutare il lavoro di un presidente. Ed è chiaro che gli oppositori di Biden useranno la leva della “guerra infinita” in Europa orientale per sottolineare un eventuale flop dell’amministrazione dem, che si unisce al ritiro afghano e ai venti di guerra nel Pacifico.
Forse le parole di Jenssen sui territori ucraini possono essere state delle semplificazioni o delle dichiarazioni non troppo soppesate. Ma non è da escludere anche che dai circoli atlantici si sia voluto anche far partire un segnale nei confronti di Kiev.
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