“Le vittime di guerra non sono tutte uguali”: il confronto che inchioda l’ipocrisia dei media

ago 9, 2023 0 comments


Di Martina Piumatti

Guerre, stragi di civili, crisi umanitarie dovrebbero essere sempre “notiziabili”. Alcune, però, lo sono più di altre. A smascherare la presunta imparzialità dei media – e lo fa in uno dei baluardi della credibilità giornalistica, The New York Times  – è un report che misura il peso specifico del pregiudizio di giornali, e giornalisti. Perché, oltre ad essere spesso l’unica cosa che legge l’utente medio, i titoli condizionano il modo in cui una notizia viene interpretata e ricordata, semplificando la posizione della testata su una questione in modo riconoscibile per il proprio target.

Gli autori – Esther Brito Ruiz e Jeff Bachman dell’American University School of International Service – hanno confrontato la copertura del Times dell’intervento saudita in Yemen nel 2015 con quella dell’invasione russa dell’Ucraina nel febbraio 2022. Il gap è impressionante: mentre il primo ha prodotto 546 articoli in sette anni e mezzo (tra il 26 marzo 2015 e il 30 novembre 2022), i titoli sull’Ucraina hanno sfondato quota 500 in meno di tre mesi, per raddoppiare entro nove, occupando quotidianamente la prima pagina. Uno spazio che la crisi in Yemen si è guadagnata solo dopo oltre tre anni.

Yemen 2015 contro Ucraina 2022

L’analisi comparativa si basa su alcuni elementi comuni: i civili sono stati vittime di entrambi i conflitti; entrambi hanno minato la sicurezza alimentare e, in entrambi, gli Stati Uniti hanno fornito supporto militare a una delle due parti (54 miliardi di dollari ai sauditi e 75 miliardi agli ucraini). Ma il divario tra i due contesti non si ferma alla portata e alla rilevanza della copertura mediatica. Anche il tono varia parecchio. Se per gli yemeniti tende al distaccato neutrale, per gli ucraini vira verso l’empatico convinto.

“Quando abbiamo analizzato i titoli sullo Yemen e l’Ucraina, – spiegano Brito Ruiz e Bachman – li abbiamo classificati come “episodici”, nel senso che si concentrano su eventi specifici, o “tematici”, nel senso che sono più contestuali. I titoli in gran parte episodici sullo Yemen possono dare l’impressione che il danno riportato sia accidentale. Mentre, articoli contestuali sull’Ucraina tracciano le più ampie implicazioni del conflitto e riportano di continuo storie che evidenziano le responsabilità russe”. L’attribuzione delle responsabilità pare selettiva, passando da netta a sfumata. Dei 50 titoli sullo Yemen che riportano attacchi specifici compiuti dalla coalizione guidata dai sauditi, solo 18 – il 36% – attribuiscono la responsabilità all’Arabia Saudita o alla coalizione. L’88% dei titoli dedicati agli attacchi russi – 44 su 50 totali – incolpa esplicitamente la Russia. Al contrario, nessuno dei quattro titoli sugli attacchi ucraini sottolinea la responsabilità all’Ucraina.

Uno scontro di narrazioni

La sofferenza umana non è tutta uguale. E certi “cattivi” sono più cattivi di altri. Se da una parte si minimizza, dall’altra si enfatizza. Se “Le forze russe martellano i civili…” e “La Russia picchia l’Ucraina…“, la “carestia” si limiterebbe a “inseguire” lo Yemen, discolpando gli “amici” sauditi dalle loro documentate colpe. Insomma, anche il Nyt, stracitato nume dell’imparzialità giornalistica, parrebbe cedere a pregiudizi perfettamente conformi agli obiettivi geopolitici degli Stati Uniti (che armano in un caso i “cattivi”-sauditi e nell’altro i “buoni”-ucraini). Un doppio standard che inchioda l’ipocrisia diffusa, e non sempre consapevole, dell’Occidente, “dove er più pulito c’ha la rogna”. E che, certo, non risparmia la “narrazione” mediatica della guerra in Ucraina.

Dal presentatore inglese di Al JazeeraPeter Dobbie, che si è lasciato scappare che gli ucraini in fuga dalla guerra sono “persone benestanti della classe media” che “non sono ovviamente rifugiati che cercano di scappare da aree del Medio Oriente che sono ancora in un grande stato di guerra; sono persone che assomigliano a qualsiasi famiglia europea a cui vivresti accanto”. A BFM TV, il canale di notizie via cavo più visto in Francia, dove Philippe Corbe ha dichiarato: “Non stiamo parlando di siriani in fuga dai bombardamenti del regime siriano sostenuto da Putin, stiamo parlando di europei che se ne vanno in auto che sembrano le nostre per salvare le loro vite”. Fino a Charlie D’Agata di CBS News che da Kiev è arrivato a dire: “Questo non è un posto, con tutto il rispetto, come l’Iraq o l’Afghanistan che ha visto infuriare il conflitto per decenni. Questa è una città relativamente civile, relativamente europea – devo anche scegliere queste parole con attenzione – dove non te lo aspetteresti o speri che accada”.

Poi, demolite nel tritacarne social, le varie testate hanno fatto tutte mea culpa. Ma la sensazione che l’attenzione mediatica per il popolo martoriato di turno dipenda dal suo essere “relativamente” vicino, simile, o bianco, resta.

FONTE: https://it.insideover.com/academy/le-vittime-di-guerra-non-sono-tutte-uguali-il-confronto-che-inchioda-lipocrisia-dei-media.html

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