La tomba degli imperi e la lezione agli Usa: cosa ha svelato il ritiro dall’Afghanistan

ago 5, 2023 0 comments


Di Davide Bartoccini

Nell’agosto del 2021 il caotico ritiro americano dall’Afghanistan ha riconsacrandolo il Paese per la terza volta come la tomba degli imperi. Con l’addio frettoloso di Esercito e Marines Usa è diventato chiaro a tutti come agli Stati Uniti non bastasse più una collaudata dottrina per combattere le guerre asimmetriche. Una dottrina sicuramente utile per portare battaglia in terre remote e mantenere equilibri delicati e arginare minacce in espansione, ma insufficente in caso di ritirata. Il disastro afgano ha quindi reso evidente la grave assenza di una dottrina che prevedesse le mosse corrette per uscire da questi conflitti, abbandonando il campo senza lasciarsi alle spalle conseguenze disastrose

Le nuove lezioni da trarre dal caotico ritiro degli Stati Uniti dall’Afghanistan stanno infatti producendo in campo politico e militare alcune “utili raccomandazioni per evitare future catastrofi“, riporta il portale di approfondimento statunitense DefenseOne. La decisione di non considerare il campo aereo di Bagram e condurre l’evacuazione dall’aeroporto internazionale Hamid Karzai vanno ricordate come un grave errore strategico, ha ricordato alla commissione per gli affari esteri della Congresso il maggiore J.Smith della 10a divisione da montagna: unità veterana della campagna contro il terrorismo in Afghanistan, specializzata nel combattimento in terreni aspri. Lasciando un monito per il futuro.

Al tempo dell’evacuazione, avvenuta nel mese di agosto 2021, il maggiore Smith comunicò ai superiori che “Bagram aveva la capacità logistica per soddisfare i requisiti di 103.000 persone. Bagram aveva oltre 35.000 posti letto e, se necessario, poteva crearne altri utilizzando brande all’interno degli hangar dell’aeroporto. Bagram aveva quattro strutture per la ristorazione e cibo insieme… aveva decine di migliaia di litri di acqua potabile e acqua in loco per le capacità di purificazione… la più grande capacità salvavita di qualsiasi ospedale rimasto in Afghanistan”.

L’errore sulle difese

Il dipartimento di Stato ritenne l’aeroporto internazionale Hamid Karzai di Kabul più “comodo”. Ma i fatti e le immagini che riportarono la memoria degli osservatori la tragica evacuazione di Saigon, dimostrarono come l’Esercito degli Stati Uniti avesse commesso qualche errore di valutazione. In primis, ricorda l’ufficiale della 10ª, quello di aver assegnato inizialmente una sola compagnia di fucilieri a fornire sicurezza nell’evacuazione. “Per circa sei settimane prima che le cose cominciassero a sgretolarsi a metà agosto, un’area che era stata protetta da centinaia di soldati e contractors” venne fatta presidiare da soli “113 soldati americani e due compagnie delle nostre forze del dipartimento turco”. Un numero inadeguato dato il caos rilevato in quei giorni di grande tensione.

I funzionari preposti dell’amministrazione Biden avrebbero dunque commesso “un grave errore” ignorando i suggerimenti pervenuti dal generale Mark Milley e da altri ufficiali che avevano messo in guardia la Casa Bianca riguardo il numero minimo di effettivi statunitensi da lasciare in Afghanistan. Numero che non doveva scendere sotto le 2.500 unità, date le disposizioni previste dell’accordo di Doha e l’imprevedibilità dei talebani.

I punti oscuri nella gestione Biden

“L’amministrazione ha preso questa decisione basandosi su informazioni che hanno sopravvalutato le capacità del governo afghano e hanno rifiutato le capacità dei talebani”, ha detto il colonnello Krummrich agli uditori della commissione del governo. “C’erano pochissime prove Intel che suggerissero che il piano dell’amministrazione Biden avrebbe funzionato” proseguono gli esperti militari, che hanno sciorinato nomi e dichiarazioni di numerosi generali dell’Us Army che avevano tutti quanti “raccomandato” di non ritirarsi finché le condizioni dell’accordo di Doha non fossero state soddisfatte. E in caso contrario di premunirsi adeguatamente.

Secondo gli esperti militari sarebbe quindi stato ignorato dal governo, che approvando un piano differente da quello che era stato segnalato come protocollo per la ritirata dall’Afghanistan, ha avviato l’effetto domino concretizzatosi in scenario disastroso che vedeva da una parte i talebani in rapida avanzata, e dall’altra il personale occidentale e locale di ogni tipo con impellente premura di lasciare il Paese, mentre la scorta militare a presidio si riduceva, e ovunque materiale militare e logistico non essenziale veniva abbandonato nelle mani dei guerriglieri che ne avrebbero presto fatto sfoggio in peculiari foto ricordo.

L’ossessione dell’amministrazione Biden per “la data del ritiro dell’11 settembre ha costretto l’evacuazione troppo rapidamente”, sostengono i militari. In sostanza gli uomini delle forze armate Usa sembrano incolpare una Casa Bianca più focalizzata sulle date e meno sulla logistica necessaria a non lasciare un campo di battaglia decennale nel caos, un addio che ha generato insicurezza e armato indirettamente i talebani con attrezzature del valore di miliardi di dollari. Un errore che ha palesato un problema nelle procedure e un gap nella dottrina americana.

I vari think tank a cui vengono spesso appaltate le analisi che possono anche differire dai parametri prettamente militari sul campo della sicurezza nazionale lanciano però un allarme: aver analizzato e in parte riconosciuto questi errori, tuttavia, non impedirà di commetterne di nuovi.

La necessità di una nuova dottrina

Per questo alle amministrazioni che si troveranno a dover affrontare una ritirata parziale o strategica da un’area di crisi, viene suggerito lo “sviluppo” di un’apposita dottrina per porre fine a una guerra. Dottrina che deve essere elaborata con la stessa attenzione dedicata ai piani elaborati per iniziare la guerra stessa. “I militari non ne hanno uno. Il Dipartimento di Stato non ne ha uno. Il Dipartimento di Stato non ha un corpus di esperti di conoscenza su come condurre negoziati in tempo di guerra in cui gli Stati Uniti sono il partecipante attivo e non ha funzionato bene ogni volta”, ha dichiarato l’ex-colonne Kolenda. Attualmente parte di uno di questi think tank.

Colmare un gap simile, oltre a garantire la sicurezza di personale militare, diplomatico, e di tutta quella parte civile che in questi ultimi mesi abbiamo visto più volte “evacuata” in gran fretta da zone di crisi – dal Sudan e dal Niger, solo per fare degli esempi – risparmierebbe agli americani di abbandonare sul campo armi e strumenti che potrebbero essere utilizzati contro di loro o contro i neonati eserciti regolari locali che dovrebbero sostituirli nel tenere sotto controllo le “zone calde” dove altrimenti il Pentagono si troverà, e ritroverà, a dover inviare “uomini e mezzi” o semplicemente armi per combattere nuovi o vecchi nemici. Ammesso che ne trovi ancora motivo.

FONTE: https://it.insideover.com/guerra/la-tomba-degli-imperi-e-la-lezione-agli-usa-cosa-ha-svelato-il-ritiro-dallafghanistan.html

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