Le agenzie di intelligence americane apriranno sempre di più il loro perimetro alla cooperazione con il settore privato, dalle aziende strategiche alle università e i centri di ricerca. Questo quanto risulta dall’aggiornamento della National Intelligence Strategy recentemente pubblicato dall’amministrazione di Joe Biden.
Si tratta del primo grande documento programmatico dell’amministrazione democratica sul tema della gestione degli apparati di informazione e sicurezza a stelle e strisce. La svolta avviene a quattro anni di distanza dall’unica National Intelligence Strategy di Donald Trump, in cui era stata elevata la postura delle agenzie Usa sul tema del cyber e rilevata l’infiltrazione graduale di Cina e Russia nel sistema occidentale mediante mezzi di penetrazione economici e propagandistici (sharp power).
Firmata dal Director of National Intelligence Avril Haines, la quale guida l’ufficio di coordinamento sotto cui operano le diciassette agenzie federali che svolgono attività d’intelligence, a partire dalla Cia, dall’Nsa e dalle intelligence militari, la strategia detta la linea alla comunità dell’intelligence e prende le mosse dal mutato cambio di paradigma che anche le più recenti National Security Strategy di Washington hanno interiorizzato. Un clima, quello attuale, in cui si respirano tensioni da nuova Guerra fredda e da competizione transnazionale a tutto campo in forma non solo tradizionale ma anche ibrida. In cui, dunque, i confini di quello che è il “sistema-Paese” sono sempre più variegati ed eterogenei. Così come lo sono quelli tra le minacce che appaiono sul fronte interno e quelle riferite alla sfera internazionale.
Ad esempio un episodio terroristico difficilmente può, all’interno di un Paese, essere ricondotto unicamente alla sfera nazionale o l’apparente posizionamento fisico di un gruppo hacker che colpisce un’infrastruttura critica è secondario rispetto alla presenza di una possibile matrice statuale dietro le aggressioni informatiche. Oppure, nel campo delle tecnologie di frontiera, un brevetto privato o universitario americano su temi come la ricerca avanzata nelle scienze mediche, la fusione nucleare o i semiconduttori diventa ipso facto parte del dominio strategico dell’interesse nazionale, che le agenzie hanno il compito e il dovere di tutelare attivamente.
Per questa ragione l’integrazione della National Intelligence Strategy con la Hines come prima firmataria recita testualmente che la comunità delle spie Usa “deve approfondire ed espandere le sue competenze, rafforzare le capacità analitiche e abbracciare nuove partnership e prospettive esterne per soddisfare le esigenze dei responsabili politici in questo ambiente più competitivo. L’intelligence”, si aggiunge, “investirà nello sviluppo di metodi innovativi e nella coltivazione di nuove fonti, e lavorerà in modo più sistematico con alleati e partner e con il settore pubblico e privato cercando partner per facilitare una comprensione comune dei rischi tecnologici e di altro tipo e di come affrontarli”.
L’obiettivo è anche quello di portare dentro l’intelligence nuove visioni operative e nuovi modi di pensare per rendere le agenzie, sempre più, motori di elaborazione strategica a tutto campo. Dunque creatrici di pensiero e azione sulla base del vantaggio competitivo dato, per le agenzie Usa, dal sostanziale dominio su flussi di dati e informazioni raccolti dalla comunità dell’intelligence. Dal cyber alle nuove frontiere militari, dalla scienza all’industria, l’intelligence Usa non nasconde che è la tecnologia il principale punto di riferimento della nuova strategia e dell’approccio al partenariato pubblico-privato: “la leadership nella tecnologia e nell’innovazione è da tempo alla base della nostra prosperità e della nostra forza militare, e sarà fondamentale per superare i nostri rivali, promuovere i nostri interessi e salvaguardare la democrazia”.
Haines conosce bene questo campo di cooperazione perché di fatto ne è stata un’anticipatrice ai tempi in cui da ricercatrice su tematiche securitarie e di politica estera lavorava con Palantir, l’agenzia di data mining dotata di poderosi algoritmi di intelligenza artificiale che svolgeva opera di costruzione di scenari e modelli di simulazione per i maggiori apparati federali. La National Intelligence Strategy, del resto, recepisce una serie di indicazioni che il mondo reale da tempo chiamava come necessarie: l’obiettivo è rendere complementare quel passaggio di competenze che troppo spesso l’intelligence Usa lamenta andare in una sola direzione, dagli apparati di sicurezza al settore privato. Per fare solo alcuni esempi, il numero di ex direttori della Cia che hanno costruito dopo la fine della loro carriera ai vertici della prima agenzia Usa floride carriere private dà l’idea di un percorso che molti dipendenti, da almeno un decennio, compiono anche ai piani più bassi, portando le agenzie a lamentare una fuga di cervelli a tutto campo.
Gina Haspel, direttrice della Cia nell’era Trump dal 2018 al 2021, è diventata consulente della multinazionale legale King & Spalding pochi mesi dopo la fine del suo mandato; due suoi importanti predecessori, Leon Panetta e David Petraeus hanno mosso importanti carriere nel mondo degli affari. Panetta è membro del board della multinazionale tecnologica Oracle dal 2015 e advisor di primo piano della multinazionale di consulenza strategica aziendale Beacon Global Strategies. Il generale Petraeus è invece partner del colosso finanziario Kkr, tra i maggiori fondi di private equity al mondo. Haines si augura che questo possa trovare un complemento in un travaso di metodi e competenze nella direzione opposta, e chiede all’intelligence di pensare al mondo che cambia integrandosi con la società. Aprendosi, dunque, alla complessità dei corpi intermedi che producono conoscenza, benessere economico e le basi della sicurezza e della prosperità collettivi per poter meglio tutelare i cardini dell’interesse nazionale. Dando un volto pubblico a agenzie abituate a lavorare nella discrezione e nel segreto.
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