La psicologia insegna che gli esseri umani sono naturalmente portati a credere alle teorie del complotto per una questione di diffidenza verso le narrazioni ufficiali, di magnetismo esercitato dalle controstorie e di un’innata tendenza alla sospensione dell’incredulità .
La dietrologia non è un atteggiamento necessariamente negativo: la verità oggettiva e fattuale non sempre corrisponde alla versione ufficiale di una storia, notoriamente scritta dai vincitori, e una sua ricerca intelligente può condurre a smascherare congiure impensabili. È la storia a insegnare, del resto, che i complotti sono il motore delle vicende umane.
Ma non tutte le teorie del complotto sono uguali: mentre alcune sono effettivamente utili a smascherare i grandi inganni, altre servono a intorbidire le acque e a depistare le indagini dei cercatori della verità . Le teorie del complotto possono essere, e spesso sono, delle potenti armi di distrazioni di massa a uso e consumo di chi le crea e le divulga. È così da sempre.
Re e statisti fabbricano teorie del complotto, che sono il cappotto delle false flag, dall’antichità . Nerone imputò a una cospirazione cristiana l’incendio di Roma. Napoleone utilizzò un falso storico, La volontà di Pietro il Grande, per convincere il popolo che un disegno occulto degli Zar rendesse necessaria la campagna di Russia. I Romanov forgiarono I protocolli dei savi di Sion per dare una giustificazione ai pogrom nelle strade e ai repulisti nelle stanze dei bottoni.
L’Unione Sovietica, forte del patrimonio ereditato dalla defunta Russia zarista in materia di disinformazione, armi di distrazioni di massa e operazioni clandestine, nel corso della Guerra fredda investì significativamente nella diffusione globale di teorie del complotto con l’obiettivo di instillare dubbi e discordia negli Stati Uniti e nel Terzo Mondo, nonché tra gli Stati Uniti e il Terzo Mondo, come nel caso dell’operazione Infektion.
Cuori, menti e malattie
Pianeta Terra, anni Ottanta. La neonata epidemia dell’enigmatico duo HIV/AIDS sta colpendo duramente l’Africa e alcune comunità degli Stati Uniti, tanto che alcuni la chiamano la “malattia delle 4H” (Heroin users, Homosexuals, Hemophiliacs, and Haitians), e alla sezione Misure attive dell’Unione Sovietica viene un’idea: creare una teoria del complotto avvincente e verosimile sulle origini del fenomeno.
Quella che in seguito sarebbe stata ribattezzata l’operazione Denver, o Infektion, aveva tre obiettivi: aumentare il panico nelle opinioni pubbliche, complicare gli sforzi della comunità medica occidentale attraverso una campagna di “disinformazione scientifica”, spargere antiamericanismo nel Terzo Mondo. Le minoranze vulnerabili dell’America dovevano essere convinte che la Casa Bianca volesse eliminarle con un’arma biologica. Gli scienziati occidentali dovevano essere depistati con falsi rapporti sulle origini dell’Hiv/Aids. Il Sud globale doveva essere persuaso dell’esistenza di una bomba genocidiaria Made in Usa.
L’Unione Sovietica voleva commettere il delitto perfetto, perciò l’operazione Infektion sarebbe cominciata in sordina, a lunga distanza dai riflettori, rispettando rigidamente un piano progettato per occultare le radici profonde della disinformazione. Parola d’ordine: camuffamento.
L’operazione Denver/Infektion ebbe inizio nel 1983, con la pubblicazione su un quotidiano indiano infiltrato dal Cremlino, Patriot, di una lettera all’editore senza firma, anonima, apparentemente scritta da uno scienziato di Fort Detrick alla ricerca di espiazione. L’uomo aveva qualcosa (di importante) da dire: la malattia non era nata in Africa, ma nei laboratori di Fort Detrick, e l’India avrebbe potuto ospitare futuri focolai alla luce degli esperimenti bio-militari condotti dagli Stati Uniti nel vicino Pakistan.
Nel 1985, dopo due anni di silenzio, l’Unione Sovietica decise che era trascorso abbastanza tempo: la bufala, fino ad allora rimasta circoscritta nell’indosfera, poteva essere tradotta e rilanciata nel resto del mondo. I tempi erano propizi: l’epidemia di Hiv/Aids stava dilagando un po’ ovunque, dunque era adesso un argomento maggiormente sentito dalla comunità internazionale, e negli Stati Uniti infuriava il dibattito pubblico per la scoperta degli esperimenti illegali sulla sifilide di Tuskegee.
La macchina disinformativa dell’Unione Sovietica, forte della presenza di uffici Tass in sessantasei paesi e dello stacanovismo di Radio Mosca – che nella sola America Latina trasmetteva più di cento ore di programmi a settimana –, avrebbe prodotto risultati immediati e gettato le basi per la sopravvivenza della teoria del complotto nel lungo termine.
Nel contesto dell’operazione Denver/Infektion furono prodotte bufale per tutti: dagli articoli sensazionalistici per le masse da condurre all’isteria alle relazioni (pseudo)scientifiche volte a investire la tesi dell’arma genocidiaria di veridicità e credibilità . Furono organizzati seminari, furono prodotte inchieste giornalistiche e furono diffuse varie versioni della stessa teoria: in Turchia e nell’arabosfera l’Hiv/Aids fu presentato come un’arma per decimare i musulmani, nell’Africa subsahariana e negli Stati Uniti come uno strumento per compiere un “genocidio nero”, in India e in Latinoamerica come un modo per sterminare “i popoli colorati”.
Nel 1986, in quello che è rimasto l’episodio più celebre dell’operazione, i sovietici distribuirono a ognuno dei partecipanti del vertice dei Non allineati di Harare una copia della cosiddetta “relazione Segal“, un rapporto stilato dal biologo Jakob Segal che avrebbe dimostrato le origini militari dell’Hiv/Aids. Nella sola Africa, il contenuto della relazione Segal fu ripreso dalla stampa di oltre venticinque paesi.
L’eredità dell’operazione Infektion
Sebbene l’operazione Denver/Infektion sia morta insieme all’Unione Sovietica, e col tempo le ricerche mediche abbiano contribuito a squarciare parte dell’alone di mistero attorno all’Hiv/Aids, i contemporaei continuano a essere plasmati da quella che è stata una delle più imponenti psyops della Guerra fredda.
Sondaggi e convinzioni più o meno diffuse suggeriscono che l’operazione Infektion abbia lasciato ai posteri un’eredità a prova di erosione del tempo: Fort Detrick è entrato nell’immaginario collettivo come il sito dei misteri, delle super-armi e delle ricerche sul soprannaturale, gli Stati Uniti sono diventati il principale indiziato dei complotti sulle malattie e gli afroamericani sono rimasti il gruppo etnico più scettico sull’Hiv/Aids – 4 su 10 credono che le autorità nascondano qualcosa, 2 su 10 credono alla tesi del genocidio nero (Journal of Health Care and Research, 2011).
Le storie di successo delle operazioni psico-informative che l’altroieri accompagnarono lo scoppio dell’epidemia di Hiv/Aids e che ieri hanno accompagnato lo sviluppo della pandemia di Covid19, senza dimenticare il cospirazionismo ai tempi della Sars e dell’ebola, parlano del volto nascosto delle guerre e, in riferimento alla natura intima degli esseri umani, dicono che aveva ragione Le Bon: la gente non cerca né vuole la verità , ma qualcosa a cui credere. Per questo i tanti saranno manipolati dai pochi fino alla fine dei tempi.
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