Nel caso in cui l’accordo sul rigassificatore di Piombino dovesse saltare, è sempre più concreta la prospettiva di una ricollocazione a Vado Ligure, località nei pressi di Savona, della nave Golar Tundra di Snam (che sarà attraccata al porto toscano fino al 2025) per il trattamento del gas liquefatto. Un nuovo rigassificatore si aggiungerà dunque in Liguria a quello già attivo a La Spezia, di cui nelle scorse settimane è stata autorizzata la massima produttività. L’accelerazione del progetto, promosso dal governatore della Liguria Giovanni Toti, ha fatto levare le proteste della cittadinanza e di alcune forze politiche, che ora promettono battaglia.
Il 18 luglio, Toti e Stefano Venier – ad di Snam – hanno annunciato la ricollocazione d’accordo con l’Autorità portuale del Mar ligure occidentale. Sono stati comunicati i dettagli del progetto, inerenti al posizionamento a una distanza di 4 chilometri dalla costa e i collegamenti con i gasdotti già esistenti. Come anticipato dallo stesso Toti la scorsa settimana, ieri è partito l’iter ufficiale che «tra 200 giorni, conclusi tutti i passaggi autorizzativi previsti dalle normative oltre alla Conferenza di servizi, porterà all’avvio delle procedure per il posizionamento, nella seconda metà del 2026, della nave rigassificatrice Golar Tundra nello specchio acqueo individuato da Snam antistante Vado Ligure».
Il Presidente della Liguria ha reso noto di essersi confrontato con i sindaci sui risultati di un incontro cui ha partecipato mercoledì scorso al ministero dell’Ambiente, «durante il quale è emersa la disponibilità del ministro Pichetto Frattin a mettere a punto, insieme, un Accordo di programma per individuare le opere di accompagnamento che interesseranno i cinque Comuni coinvolti in questa importante opera, strategica per tutto il Paese». Contestualmente, si è insediata la struttura commissariale che a fine agosto inizierà a confrontarsi con Rina, Snam e i sindaci sull’analisi del progetto e l’eventuale apporto di modifiche. Secondo le previsioni, il rigassificatore potrà continuare a trattare circa 5 miliardi di metri cubi di gas all’anno (circa il 7% del fabbisogno nazionale).
L’iter della ricollocazione del rigassificatore di Piombino è travagliato anche dal punto di vista dei passaggi parlamentari: inizialmente faceva parte del Decreto Alluvione, poi nel disegno di legge Rigassificatori, infilato nel decreto Omnibus. La criticità attiene anche al fatto che disegno ha avuto origine nelle commissioni Affari Costituzionali e Bilancio e non in quelle più attinenti alla materia energetica.
Ciò che è certo è che l’universo dell’associazionismo locale è sul piede di guerra. Una settimana fa è stata lanciata su Change.org una petizione per dire no al rigassificatore a Vado Ligure a causa dei “rischi ambientali e di salute che comporta”. Nel testo dell’istanza si legge che, “oltre ai rischi di incidenti di vario tipo, si tratta di impianti emittenti inquinanti, soprattutto ossidi di azoto (NOx), in concentrazioni non affatto trascurabili (centinaia di milligrammi/metro cubo), per il trattamento di alcuni miliardi di metri cubi di gas/annui. La decisione di posizionare un rigassificatore all’interno del porto di Piombino non garantisce la sicurezza dell’impianto né la salute dei cittadini per questo motivo si è scelto Vado Ligure. Senza contare che se verrà posizionato a soli 4 chilometri dalle nostre coste questo rimarrà per 17 anni”. Viene dunque lanciato un appello: “Facciamolo per i nostri figli almeno! Dimostriamo di avere un po’ di dignità come hanno avuto a Piombino, dove sono riusciti ad evitarlo”.
«A Vado abbiamo un’eccessiva incidenza di inquinanti pregressi e attuali. Vorremmo dati attualizzati, abbiamo un alto numero di aziende a rischio di incidente rilevante, ogni amministratore non può non sapere quale sia la situazione – ha denunciato Stefano Milano, membro della rete Fermiamo le Fonti Fossili -. Per non parlare poi delle emissioni dirette e fuggitive di metano. Vado e Savona non possono essere ulteriormente usate come luoghi di sacrificio, questa volta con il gas liquido». Il territorio è infatti stato interessato da un’inchiesta per disastro ambientale che ha portato alla chiusura delle due unità a carbone della centrale Tirreno Power, i cui manager stanno subendo un processo che sta per sfociare in una sentenza di primo grado. A dare supporto politico alle associazioni contro il progetto di ricollocazione sono M5S, Europa Verde e Rifondazione Comunista.
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