Il governo Meloni è riuscito a trasformare in stupefacenti i “prodotti da ingerire” a base di cannabidiolo – sostanze prive di effetti psicotropi, poiché presentano un contenuto molto basso di THC -, impedendo la loro libera vendita in tutti i punti che non siano farmacie. Lo ha fatto, con una mossa non annunciata, il Ministero della Salute, che attraverso un decreto firmato direttamente dal ministro Schillaci li ha inseriti nel testo unico sugli stupefacenti. L’Esecutivo sferra così un durissimo colpo al mercato della cosiddetta “Cannabis Light”, che ha creato un settore che ha generato un fatturato annuo di circa 150 milioni di euro. Per ora risultano ancora “salvi” i prodotti a base di cannabis light da fumare, ovvero i fiori di canapa, ma presto la stretta potrebbe intensificarsi.
Nello specifico, il ministero della Salute ha revocato la sospensione di un decreto, datato 1 ottobre 2020, che inseriva le “composizioni per somministrazione ad uso orale di cannabidiolo (CBD) ottenuto da estratti di cannabis” – sempre più diffusi ed utilizzati come rilassanti – all’interno della tabella dei medicinali allegata al testo unico sugli stupefacenti. Dopo una serie di proteste, quel provvedimento era stato sospeso il successivo 28 ottobre, ma ora, dopo la mossa del Ministero della Salute, ha riacquistato piena validità: entrerà formalmente in vigore il prossimo 22 settembre. Se le cose non cambieranno, gli oli di CBD non potranno più rientrare nella libera vendita, a meno che non siano preparati con CBD sintetico (che non viene citato nella norma); anche gli oli ad uso cosmetico – dal momento che, nel provvedimento, si parla solo di preparazioni ad uso orale – dovrebbero poter essere ancora venduti.
La decisione fa a pugni con un’importante pronuncia della Corte di giustizia dell’Unione Europea del novembre 2020, in cui si è sancito che i prodotti a base di Cbd non devono essere considerati come stupefacenti. “Uno Stato membro non può vietare la commercializzazione del cannabidiolo (CBD) legalmente prodotto in un altro Stato membro, qualora sia estratto dalla pianta di Cannabis sativa nella sua interezza e non soltanto dalle sue fibre e dai suoi semi”, hanno scritto i giudici, evidenziando che le disposizioni relative alla libera circolazione delle merci all’interno dell’Unione (articoli 34 e 36 TFUE) sono applicabili, dal momento che il CBD “non può essere considerato come uno stupefacente”. La Corte ha dunque concluso che “il divieto di commercializzazione del CBD costituisce una misura di effetto equivalente a restrizioni quantitative delle importazioni, vietata dall’articolo 34 TFUE”, precisando che “una normativa siffatta può essere giustificata da uno dei motivi di interesse generale indicati nell’articolo 36 TFUE, quale l’obiettivo di tutela della salute pubblica”, a patto che “tale normativa sia idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo suddetto e non ecceda quanto necessario per il suo raggiungimento”. Tale valutazione, è scritto nel testo della sentenza, spetta “al giudice nazionale”.
Sulla stessa scia si si era inoltre già posta l’Organizzazione mondiale della sanità, il cui Comitato di esperti sulla tossicodipendenza (ECDD), nel 2017, ha concluso che “allo stato puro, il cannabidiolo non sembra avere un potenziale di abuso o causare danni“, pertanto, “poiché il CBD non è attualmente una sostanza classificata di per sé (solo come componente di estratti di cannabis), le informazioni attuali non giustificano una modifica di questa posizione di classificazione e non giustificano la classificazione della sostanza”.
Da anni, ormai, sono stati appurati gli effetti analgesici e antinfiammatori della sostanza, capace di ridurre la percezione del dolore. Il CBD, che detiene proprietà antiemetiche, anticonvulsionanti, agisce inoltre come ansiolitico e calmante, combattendo i sintomi connessi al disturbo post-traumatico da stress e al disturbo ossessivo compulsivo. Per di più, è in grado di favorire il ripristino del ciclo sonno-veglia.
L’introduzione del provvedimento rappresenta, senza ombra di dubbio, una grande vittoria per il leader leghista Matteo Salvini, che ha fatto del contrasto alla “cannabis light” una battaglia campale della sua azione politica e – nonostante i dati dimostrino che la proliferazione dei negozi che la vendono abbia notevolmente ridotto lo spaccio di sostanze illegali – ha più volte chiesto la chiusura degli shop.
“La posizione del ministero italiano è in antitesi con le decisioni assunte dalle analoghe autorità tedesche, inglesi e francesi, che hanno escluso l’assoggettabilità di medicinali anche ad alta concentrazione di CBD tra gli stupefacenti, ed è in contrasto con la normativa comunitaria in materia di organizzazione del mercato comune e di antitrust” dichiara Federcanapa, che sottolinea come la decisione del ministero sia secondo loro “tanto più illogica in quanto non potrà impedire la libera circolazione in Italia di alimenti e cosmetici al cbd prodotti legalmente in altri Paesi europei ed è destinata a danneggiare unicamente i produttori nazionali”. Dall’associazione Aduc spiegano che “nelle farmacie italiane sono venduti diversi tipi di preparati a base di CBD ad uso galenico ma il prodotto con concentrazioni inferiori è venduto anche nei canapa shop, nelle erboristerie e nei tabaccai ed è utilizzato per favorire il rilassamento, diminuire ansia e lenire dolori. Da settembre tutto ciò che contiene CBD ed è ad uso orale e non cosmetico sarà appannaggio delle aziende farmaceutiche”.
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