Il popolo degli Assiri ha posto le basi per le metodologie di dominio imperiale che altre civiltà hanno poi fatte proprie e ulteriormente espanso. Giuseppe Gagliano ce ne mostra le linee guida principali.
Come sappiamo, dal punto di vista storico è ormai acclarato che il termine imperialismo sia stato usato dal giornalista inglese Hobson per indicare la proiezione di potenza degli Stati europei intorno al 1870. Ebbene uno dei maggiori studiosi a livello internazionale di storia dell’antico oriente e cioè Mario Liverani nel volume “Assiria. La preistoria dell’imperialismo” (Laterza, 2017) mostra attraverso una analisi puntuale come l’origine dell’imperialismo vada individuata già nel contesto storico dell’impero assiro. Con buona pace della Arendt.
Il dominio degli Assiri, prototipo di impero
Partendo dalla definizione di impero come “una formazione politico-territoriale che si assegna il programma di allargare incessantemente la propria frontiera, di assoggettare attraverso la conquista diretta – o attraverso il controllo indiretto – il resto del mondo”, Liverani giunge alla logica conclusione che anche l’impero assiro pretendeva di avere una dimensione totale.
Quindi l’Assiria può essere letta come una sorta di credibile prototipo di impero nel senso che già allora vennero formulate alcune forme semplici dell’ideologia imperiale che Liverani individua con estrema chiarezza linguistica e concettuale mettendole a confronto con gli imperi tradizionali .Vediamole in breve.
In primo luogo, l’espansione imperiale assira come quella degli imperi antichi si sviluppò per terra mentre quella europea moderna si indirizzò soprattutto verso terra via del mare;
In secondo luogo, l’espansione imperiale assira si realizzò in regime di monopolio mentre quella europea moderna si svolse in un contesto di competizione fra potenze;
In terzo luogo, l’Assiria non cercava terre da popolare e da colonizzare ma al contrario cercava manodopera da importare;
Quarto punto, l’imperialismo assiro non si avvaleva di una superiorità tecnica di armamento e mezzi di trasporto come invece accade con il colonialismo europeo in America ed in Africa;
Infine nell’imperialismo assiro la componente economica era solo di tipo tributario e non commerciale come quella del colonialismo europeo che portò alla conquista dei mercati asiatici e africani.
Le caratteristiche dell’imperialismo assiro
Secondo lo storico italiano l’impero universale assiro si realizza sostanzialmente mediante un’attività bellica e cioè attraverso una guerra vittoriosa allo scopo di impedire ogni resistenza e ottenere una sottomissione per così dire spontanea cioè in buona sostanza forzata.
In altri termini la guerra viene concepita come strumento di realizzazione della volontà divina e quindi è considerata non solo legittima ma addirittura meritoria. Nel contesto dell’antico Oriente – sottolinea l’autore – non esiste contrapposizione tra guerra santa e guerra giusta: infatti non ci può essere guerra giusta che non sia anche santa, chi ha ragione vince. Bisogna precisare da un punto di vista storico che nell’antico Oriente è presente l’esigenza di dimostrare a posteriori che la guerra è stata santa e giusta in base ad una concezione ordalica della guerra secondo la quale Dio fa vincere chi ha ragione e soccombere chi ha torto. Insomma l’esito stesso dello scontro dimostra che il vincitore aveva ragione.
Mentre i nemici fanno affidamento l’uno sull’altro durante i conflitti – ma inutilmente – al contrario gli assiri confidano nel loro Dio per sconfiggere i loro nemici.
Guerra ed espansione
Non c’è dubbio che anche nel contesto della riflessione assira l’espansionismo coloniale fosse pienamente giustificato: da un lato infatti buona parte dei grandi imperatori assiri si vantano di aver aperto una nuova via ignota ai popoli precedentemente soggiogati ma soprattutto gli imperatori assiri esaltano la capacità di sottomissione di regni – o regioni – che mai prima erano state dominati.
Guerra e confine nell’imperialismo assiro
Anche nella storia assira – come in quella dell’Egitto – è importante la questione del confine: allargare il confine infatti significava ridurre il caos all’ordine mediante la conquista e la sottomissione. In altri termini, si parla di una frontiera dinamica cioè di una direttrice di espansione. Anche gli assiri condividono cioè un concetto di frontiera naturale che naturalmente risulta essere una costruzione puramente ideologici. Concretamente la frontiera tra gli assiri poteva anche materializzarsi o in una muraglia oppure in una serie di fortini.
Espansionismo e giustificazione
Accanto alla giustificazione della logica espansionistica vi fu anche un atteggiamento che legittimava l’espansione come una reazione difensiva di fronte alla pressione ostile dei popoli circostanti. Già a partire con l’impero assiro insomma si manifesta la reazione preventiva e la colpevolizzazione del nemico. Partendo da un dato di carattere geografico non c’è dubbio che la Mesopotamia fosse assediata da regioni o montane o desertiche e soprattutto dalla presenza dei nomadi settentrionali numerosissimi ed agguerriti che venivano descritti come esseri sub-umani con lo scopo di invadere il paese.
Da numerosi testi analizzati dallo storico italiano risulta chiarissima la presenza della sindrome di assedio e soprattutto altrettanto chiara la concettualizzazione assira del pericolo incombente. Attraverso un’analisi comparata lo storico italiano sostiene che anche nel contesto assiro vi fosse una forma di imperialismo difensivo analogo a quello romano in base al quale si tratta di porre in essere un procedimento di colpevolizzazione del nemico.
Infatti, la visione centralistica del mondo considerava il paese interno come circondato da popoli inferiori e da terre vuote, oggetto di facile conquista e di sfruttamento economico. Il timore dei nemici è determinato da un elemento quantitativo: i nemici sono tanti, nel senso che loro numero è immenso, e nel senso che sono diversi e compositi.
Questo complesso obsidionale, come lo definisce lo storico, è la giustificazione psicologica per l’attività militare che per esempio il sovrano Tukulti-Ninurta conduce in ogni direzione contro i paesi circostanti considerati malvagi e pericolosi in quanto colpevole di rifiutare la protezione assira. Insomma l’idea di un’invasione sul larga scala, che ha luogo in modo coordinato per mare e per terra e che potrebbe raggiungere la frontiera per esempio egiziana in un dato momento, è un topos molto frequente nella propaganda politica della civiltà orientale che tende a giustificare un’azione offensiva sul piano militare.
Questa forma di manicheismo la si può agevolmente individuare anche nella cultura egizia: da un lato c’è il faraone che da solo con i suoi strumenti di battaglia deve fronteggiare una coalizione nemica innumerevole ma inferiore che è predestinata alla sconfitta.
Insomma, sotto il profilo strettamente teologico, il panorama dell’epoca era nettamente favorevole alla ideologia imperialista. Infatti una delle rilevanti conclusioni alle quali giunge Liverani è quella secondo la quale anche l’Assiria come l’impero romano ebbe una missione imperiale e cioè quella di dominare il mondo, con ogni mezzo disponibile ad efficace, per ricavarne vantaggi e giustificare tutto ciò mediante la colpevolizzazione del nemico ,attraverso la trasformazione della periferia da incivile e inutile in ordinata e produttiva sia infine mediante l’attribuzione di una valenza universale all’ipostasi del mandato imperiale.
Un altro aspetto certamente rilevante che emerge dal saggio dell’autore è la dimensione tecnica: il sovrano Sennacherib fu certamente quello che più insistette sulla capacità di innovazione tecnica in relazione alla sua opera di sistemazione agraria e idraulica della campagna attorno a Ninive. Tuttavia, l’impero assiro fu lontanissimo dalla capacità di dominare a livello tecnico il paesaggio come fecero Roma e la Cina che fu in grado di modellare il territorio attraverso canali e campi quadrangolari.
L’immagine del nemico per gli Assiri
I nemici vengono descritti come potenzialmente terribili ma tuttavia inferiori perché privi di possibilità di resistenza e di contrattacco. I nemici infatti sono senza Dei, senza armi e senza valore e la loro inferiorità o la loro impotenza è pari alla malvagità e alla loro folle insubordinazione.
Insomma, i nemici sono cattivi e colpevoli per natura, intrinsecamente e dunque è inevitabile la punizione ed la loro eliminazione. Naturalmente le ostilità sono state iniziate dai nemici: troviamo una logica di questo genere sia nella cultura ittita che in quella egizia. La furia con la quale il nemico viene eliminato anzi sterminato è presente per esempio nei testi del faraone Ramses III nei confronti della paventata invasione libica ai confini stessi dell’Egitto sventata la quale il faraone li farà punire con il taglio dei falli e il taglio azioni queste che dimostrano la volontà di annientare.
Anche se i nemici decidono di intraprendere la fuga questa è semplicemente illusoria perché determina soltanto un breve rinvio rispetto alla punizione finale. Altrettanto significativo il fatto che nella concezione ideologica della guerra non esiste un rapporto simmetrico: vale a dire una vera e propria battaglia non può mai avere luogo perché è uno scontro simmetrico e inconcepibile dal momento che lo iato qualitativo tra l’esercito cosmico e i caotici nemici è troppo evidente.
Diventa inevitabile a questo punto presentare lo scontro non solo sotto una dimensione militare ma soprattutto morale: il sovrano ittita o assiro è corretto, pio, generoso mentre il suo avversario illegittimo, empio e traditore.
Insomma, l’elemento ideologico è assai diffuso sia nella cultura ittita, sia in quella egiziana che in quella assira. In un contesto di questo genere non possono che essere numerose sia le vendette che le faide. Ciascuna parte infatti è sempre in grado di aggiungere un anello all’indietro nella catena dei trascorsi peccati per sentirsi autorizzata ad aggiungere un anello in avanti nella catena delle punizioni.
Il destino dei popoli dominati nell’imperialismo assiro
Quale era il destino dei popoli dominati dagli assiri? Esisteva la resa o la fuga prima della sconfitta e dopo la sconfitta c’era solo l’assimilazione forzata. Concretamente questo asservimento avveniva per esempio a livello fiscale con tasse e tributi che gravavano sulla base produttiva. In secondo luogo attraverso la leva militare obbligatoria.
Quando la potenza assira nell’VIII secolo a. C. raggiunse il proprio culmine l’impero mostrerà segnali di crisi demografica e produttiva da un lato per le perdite umane avvenute in guerra ma dall’altro anche per la crescita abnorme della capitale. È significativo che sia la crescita della città sia il calo demografico per le campagne andrà a tutto vantaggio delle élite dirigenti mentre i costi umani graveranno sulla popolazione.
Per quanto riguarda i tributi i sudditi dei regni vassalli non solo dovevano sostenere il palazzo reale locale ma dovevano contribuire al tributo dovuto al sovrano assiro. L’uso della deportazione era un atto strumento di asservimento: era un onere pesantissimo non solo in termini economici ma anche e soprattutto in termini esistenziali cioè di sradicamento. In un primo momento l’asservimento sarà basato sul dominio indiretto e cioè determinati gruppi umani vengono trattati come fossero una parte del bottino del tributo.
Ma, in un secondo momento, man mano che l’impero cresce la deportazione coinvolgerà popolazioni intere: lo storico italiano valuta che nei tre regni saranno deportate più di un milione di persone. Lo scopo principale naturalmente era quello di distruggere l’unità etnico-politica del paese conquistato e di sostituire l’auto identificazione locale con quella imperiale di natura multietnica.
E se per gli Ittiti era importante mantenere il sistema politico locale modificando soltanto con l’insediamento di membri della famiglia reale come sovrani locali al contrario gli egizi e gli assiri una volta conquistata la città la ricostruivano, cambiavano nome e riorganizziamo la campagna inserendola nelle procedure amministrative.
Infine due riflessioni formulate da Liverani meritano di essere sottolineate:
In primo luogo già nel medio regno l’Assiria rivendicò in maniera esplicita una posizione di primo piano nel consesso delle potenze dell’epoca e cioè la volontà da parte dell’impero di signoreggiare e sottomettere tutti i paesi al loro Dio cioè ad Assur.
In secondo luogo formulando un interessantissimo paragone lo storico italiano afferma che l’imperialismo assiro fu di natura dinamica e di conseguenza la contrapposizione tra pace interna e guerra esterna tipica ad esempio dell’Islam è adeguata anche per comprendere la logica assira: la conquista infatti porta benefici ai conquistatori, che passano dallo stato di guerra a quella di pace.
Quanto al perdono questo coincide con l’ammissione alla realtà politica assira e di conseguenza il processo di conquista imperiale estende la pace. Quella assira naturalmente. Difficile, dopo aver compiuto questa sommaria rassegna, non trovare numerose analogie non solo con la storia greca e con quella romana ma anche con il colonialismo cinquecentesco e ottocentesco a riprova che esistono strutture mentali poste in essere dalle oligarchie politiche che ciclicamente si ripetono nel corso della storia.
FONTE: https://osservatorioglobalizzazione.it/osservatorio/assiri-imperialismo/
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