Da tempo le maggiori testate specializzate in difesa e sicurezza del panorama americano sono concentrate sul grande piano di riadattamento ai nuovi scenari globali dello United States Army. Si chiama “Army of 2030” ed è il piano strategico con cui le forze armate statunitensi si preparano a combattere le guerre di domani. Proposta a ottobre 2022, sta diventando oggi di dominio pubblico mentre si parla della roadmap per la sua applicazione nelle forze armate a stelle e strisce.
Considerata chiusa l’esperienza della controinsorgenza promossa, con esiti tutt’altro che edificanti in molti contesti, a partire dalle lunghe guerre mediorientali in Iraq e Afghanistan e superata l’era in cui il focus primario era nella contrapposizione asimmetrica al terrorismo, Washington torna a pensare alla minaccia di scontri convenzionali. E il documento programmatico per il progetto “Army of 2030” pubblicato sul sito ufficiale dell’esercito Usa non manca di sottolineare che la prima spinta alla modernizzazione sia data dalla “sfida della Cina“ e dalla “minaccia acuta posta dalla Russia” alla posizione globale degli Usa nel mondo. Un’interpretazione operativa delle domande di sicurezza che la National Security Strategy del 2022 firmata dal presidente Joe Biden imponeva alle forze armate Usa di porsi.
La risposta? Una spinta a consolidare la ricerca della cosiddetta full-spectrum dominance, ovvero la corsa degli Stati Uniti a mantenere un vantaggio competitivo su tutti i settori del mondo militare avendo al centro l’operatività delle forze di terra come punta di lancia della proiezione americana. A cui si aggiunge una svolta definita data-driven: l’interoperatività tra le armi, in sostanza, dovrà avere al centro in futuro anche lo scambio costante di dati sui terreni operativi e le forze armate nemiche tra le diversi componenti dell’esercito, ognuna delle quali assocerà dunque una piattaforma di raccolta informativa al suo corpo operativo. L’obiettivo? Valorizzare quello che lo Us Army definisce “il vero vantaggio dell’esercito americano”, ovvero il fattore umano inteso come somma di esperienza operativa e competenze dei singoli militari.
Il Center for Strategic and International Studies (Csis) sottolinea che “Army of 2030” sarà il concetto strategico su cui l’esercito americano evolverà una dottrina militare destinata a mandare definitivamente in pensione quella sulla “Air-Land Battle” teorizzata quarant’anni fa e applicata a partire dalla guerra del Golfo del 1991, fondata su una versione moderna della guerra-lampo con operazioni integrate aeronavali e terrestri, per dare sostanza alla nuova operatività data dalle “operazioni multi-dominio” (Mdo) che integrano spazio e campo cyber nella prospettiva operativa di ogni arma. Il Csis nota che “la trasformazione dell’esercito si può riassumere in sei obiettivi di modernizzazione che avranno un impatto sulla struttura: fuoco di precisione a lungo raggio, veicoli da combattimento di prossima generazione, uso di dispositivi a sollevamento verticale, comunicazioni di rete tra i corpi, difesa aerea e missilistica integrata e aumento della letalità dei soldati”. Uno scenario che riassume alla perfezione l’idea di un esercito che potrebbe doversi trovare a combattere non forze asimmetriche o truppe meno equipaggiate e addestrate, ma veri e propri eserciti parigrado in conflitti su larga scala.
A tal proposito, il generale James Rainey e il tenente generale Laura Potter hanno commentato su War on the Rocks le prospettive di ammodernamento delle forze armate Usa in riferimento ai cambiamenti strutturali delle unità operative che questa svolta strategica imporrà: se per due decenni l’esercito americano ha gestito la controinsorgenza con unità militari decentralizzate fondate su brigate molto mobili, i due militari non negano che in futuro si possa tornare alla strutturazione di più gerarchizzati “eserciti di teatro” per gestire al meglio le operazioni multi-dominio. Anzi, la previsione di Rainey e Potter è che sarà la divisione “la formazione tattica primaria sul futuro campo di battaglia”.
Le divisioni potranno tornare in auge, spiegano gli autori, “a causa della loro capacità di sincronizzare le manovre” in forma più centralizzata e di raccordarsi con una catena di comando più strutturata a livello di armata e corpo d’armata. Le capacità tecniche per gestire in rete le operazioni di raccolta informativa, comunicazione strategica, coordinamento con le armi aeree, navali, cyber e spaziali possono per ogni unità essere centralizzate a livello di divisione per permettere ai comandanti di prima linea di “allocare il peso dello sforzo principale e spostarsi rapidamente” su fronti che si ipotizza saranno meno frastagliati di quelli del recente passato.
In sostanza, la dottrina americana potrebbe tornare nei fatti a ricalcare i contorni dell’era della Guerra Fredda, in cui il confronto diretto con gli eserciti del Patto di Varsavia era ritenuto centrale nelle prospettive d’ingaggio delle forze armate a stelle e strisce. L’idea di eserciti strutturati con catene di comando chiare e distinzione tra centrali operative di elaborazione strategica e comandi operativi sul campo, unita all’elevata tecnologizzazione delle forze armate odierne, crea al contempo un peculiare ibrido tra modernità e tradizione. La guerra di domani, per Washington, sarà un affare complesso e da gestire con attenzione: ragion per cui l’obiettivo sarà, in “Army of 2030”, unire il meglio dell’esperienza di ieri a ciò che i moderni ritrovati tecnologici possono offrire.
FONTE: https://it.insideover.com/difesa/army-of-2030-il-piano-dellesercito-usa-per-le-guerre-di-domani.html
Commenti
Posta un commento
Partecipa alla discussione