Il voto in Spagna si è concluso e né i popolari nei socialisti hanno conquistato la maggioranza assoluta dei seggi. La destra popolare guidata da Alberto Nunez Feijoo si rilancia nettamente e conquista il ruolo di primo partito. Il Partito socialista operaio di Spagna (Psoe) guidato dal premier Pedro Sanchez però tiene e, pur venendo sorpassato dai rivali, conserva un ruolo decisivo nel Parlamento iberico.
L’elezione spagnola era stata presentata come un voto che avrebbe potuto decidere molti equilibri che si sarebbero venuti a creare da qui alle europee del 2024. In particolare era emerso in tutta la sua grandezza il tema del potenziale nuovo bipolarismo europeo, dato che sia i popolari sia i socialisti avevano fatto conto di poter arrivare al governo col sostegno delle ali politiche agli estremi dei propri schieramenti. E questo ha valorizzato l’idea di una Spagna laboratorio d’Europa in vista dei possibili nuovi equilibri che si possono venire a creare su diversi temi, dalla transizione Green alle questioni di genere, dal futuro del rigore al tema della politica industriale nell’emiciclo di Strasburgo che verrà.
In sostanza il risultato parla di un contesto abbastanza diverso dove a prevalere nell’analisi del voto sono stati temi polarizzanti politicamente ma decisamente locali come il problema della siccità che ha devastato il centro della Spagna in questi mesi, punendo Sanchez e l’ambientalismo di sinistra in Rioja, Extremadura e altre terre, il timore dei regionalisti per una vittoria della destra che ha salvato il Psoe in Catalogna e Paesi Baschi, la faglia intergenerazionale tra un mondo giovanile che ha premiato i socialisti e le loro riforme del lavoro e una generazione più anziana che si è affidata principalmente al voto al centrodestra. I due leader hanno puntato a rendere l’elezione pari a un vero e proprio derby tra loro stessi e in un certo senso ci sono riusciti prevalendo nettamente sulle componenti radicali, rispettivamente la sinistra di Sumar e la destra nazionalista di Vox.
Se vogliamo leggere nel voto spagnolo una prospettiva europea difficilmente possiamo col senno di poi ritenerlo un referendum potenzialmente in grado di capire se la svolta a destra dell’Europa si è consolidata o se c’è ancora campo per una sinistra moderna di giocare le sue carte. Certo, c’è la percezione che la coalizione ampia del secondo governo Sanchez possa essere destinata a non riproporsi. Ma una maggioranza alternativa non c’è e il rischio di un Parlamento-Vietnam rischia di portare a Madrid l’attuale modello di Strasburgo, non viceversa.
Diverse chiavi di lettura possono però essere date sul peso europeo di questo voto. In primo luogo l’elezione spagnola è parsa forse la più ideologizzata degli ultimi decenni. E sicuramente è comparsa una crescente volontà di legare a precisi sistemi valoriali la visione del futuro da parte dei maggiori partiti. Senza ambiguità di sorta. Questo in un certo senso aiuta sicuramente a fare chiarezza nella visione politica delle parti in gioco, ma apre anche la prospettiva di un confronto netto. Quale quello destinato ad aprirsi su diverse posizioni ideologiche anche nel prossimo europarlamento. E se si può dire che la sinistra spagnola è molto più radicale di quelle di Germania, Italia, Francia e altri Paesi, al tempo stesso i popolari spagnoli si stanno consolidando come emblema della formazione conservatrice tipo in Europa. Dunque Sanchez e Feijoo guidano partiti che sono destinati a giocare un ruolo predominante nei futuri accordi di coalizione comunitari, connotando i rispettivi eurogruppi.
In secondo luogo un tema fondamentale che è emerso è il fatto che in questo nuovo bipolarismo chi riesce a dare ancora le carte sono le formazioni tradizionali. Ovvero l’ondata di protesta populista e sovranista, in Spagna declinatasi sia a destra che a sinistra con l’ascesa di nuove coalizioni, è stata gradualmente riassorbita nei centri di potere tradizionali. Questo consolida quanto avvenuto già in altri Paesi, allontanando dal centro le formazioni maggioritarie. Ma al contempo proprio per la loro diversa taglia politica esalta il ruolo potenzialmente decisivo dei radicali. Sumar e Vox non hanno i consensi di un tempo, ma restano imprescindibili per gli alleati maggiori. E così guardando all’Europa si può pensare a un contesto in cui sia popolari che socialisti, pur schierati su posizioni più radicali dovranno necessariamente arruolare al loro fianco gli altri gruppi europei d’area per completare la maggioranza del futuro Parlamento comunitario. Guardando all’Italia questo non può far pensare al fatto che un ruolo decisivo potrà essere svolto proprio dall’esecutivo di Giorgia Meloni in un contesto in cui peraltro Fratelli d’Italia è sempre più maggioritario nel panorama dei conservatori europei, forse anche proprio per il flop di Vox in questo voto.
Il terzo punto è legato alle dinamiche della presidenza spagnola dell’Unione europea. La quale si dimostra potenzialmente in grado di andare incontro a paralisi decisionali in una fase in cui Madrid dovrà prendere in capo la questione delle linee di priorità da dare all’Europa. E in quest’ottica un buco può esaltare le differenze tra campi. La Spagna condivide ad esempio con l’Italia l’idea di accelerare sulla riforma del Patto di Stabilità in senso anti-rigorista. Ma tra socialisti e popolari le differenze sono notevoli sul tema di riforme, che vanno dalle case green alla riforma dell’immigrazione, con la sinistra attenta soprattutto alla transizione energetica e i popolari al tema di un’Europa più sicura sul fronte politico e valoriale. Dal Vietnam spagnolo in Parlamento può uscire un danno al processo decisionale dell’Europa di fine 2023? Difficile dirlo. Quel che è certo è che anche in Spagna la politica, col suo confronto netto di idee e valori, è tornata. E in un’Europa dove le pulsioni tecnocratiche di Bruxelles sono sempre più indigeste questo è un ennesimo segnale da non sottovalutare.
FONTE: https://osservatorioglobalizzazione.it/osservatorio/tre-lezioni-per-leuropa-dal-voto-in-spagna
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