Gli antichi popoli, attraverso l’osservazione della volta celeste, cercavano di interpretare l’universo come un Tutto governato da leggi sempiterne, in cui era inserito anche l’uomo, ritenuto un “microcosmo”, in quanto riflesso di quel “macrocosmo” fatto di sfere in movimento, fulgidi astri e costellazioni, che parevano scandire il suo tempo e circoscrivere il suo destino. Dall’osservazione scrupolosa del cielo stellato, gli antichi non solo trassero la conoscenza dei ritmi planetari, ma anche presagi e regole di comportamento, nacque così un sistema di corrispondenza di segni tra microcosmo e macrocosmo che rendeva comprensibile la realtà terrestre alla luce dei prototipi celesti: l’astrologia.
Oltretutto, sono emerse concordanze sorprendenti fra le denominazioni attribuite agli astri da popoli molto distanti fra loro, difficilmente spiegabili con la mera casualità, o da circostanze meramente empiriche. Osservava già Vico: «Per uniformità d’idee, senza saper nulla gli uni degli altri, appo gli orientali, egizi, greci e latini, furono da terra innalzati gli dei all’“erranti” (i pianeti) e gli eroi alle “stelle fisse” (le costellazioni).» (G. Vico, Scienza Nuova, a cura di P. Rossi, Rizzoli Bur, Milano, 2012, p. 76).
L’astrologia nell’antichità era considerata una scienza sacra, una disciplina iniziatica, un vero e proprio strumento sapienziale nato dall’indagine e l’osservazione dei corpi celesti e delle coincidenze che si verificavano sulla Terra in occasione di particolari disposizioni o allineamenti. Essa si basava sull’idea che nell’Universo, creazione divina, dunque derivante da un unico Principio, tutto fosse collegato.
Nel Medioevo le applicazioni pratiche di questa “scienza” si sono tramandate fino ai costruttori delle cattedrali romaniche e gotiche, che hanno applicato i princìpi dell’astrologia nelle loro costruzioni. Anche Tommaso d’Aquino si interessò di astrologia, sua è la nota definizione: «Astri inclinant non necessitant», stante a significare che gli astri “favoriscono” un’inclinazione nel comportamento dell’uomo, ma non lo “costringono” a quel comportamento. Molti Papi del Medioevo e del Rinascimento ebbero a corte un Archiatra pontificio, che oltre che medico era anche astrologo.
Questa “scienza”, da cui pure deriva la tassonomia della moderna astronomia, purtroppo, oggigiorno, così com’è conosciuta dal grande pubblico, si basa su cognizioni frammentarie, sovente contraddittorie, e presentate senza alcun collegamento ad una dottrina metafisica o anche solo cosmologica. Questo breve trattato Sull’Astrologia* attribuito a Luciano di Samosata e tradizionalmente parte del corpus dei suoi scritti, ora edito dall’editore campano D’Amico a cura di Giovanni Balducci, ha perciò il pregio di esaminare il fenomeno astrologia, al di là di ogni approccio superstizioso, tratteggiando un quadro completo ed esaustivo delle sue origini e dei suoi fondamenti.
Luciano di Samosata è stato uno scrittore, retore e filosofo siro di lingua greca antica, esponente della seconda sofistica, nato sotto l’imperatore Adriano. Fu politicamente vicino alla dinastia degli Antonini, in particolar modo ai principati di Antonino Pio e Marco Aurelio. La sua fama è soprattutto legata ai Dialoghi, pervasi da una pungente ironia contro le superstizioni e i cinici, e da una evidente simpatia verso le tesi epicuree. Ai Dialoghi di Luciano di Samosata si ispirò Giacomo Leopardi nelle sue Operette morali. Fra i traduttori italiani delle sue opere si ricorda Luigi Settembrini.
*Sull’Astrologia, Luciano di Samosata, a cura di Giovanni Balducci, D’Amico Editore, Nocera Superiore 2023, pp. 51, euro 5,00.
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