Acque agitate, mari caldissimi. Il mondo è attraversato da tensioni geopolitiche sempre più intense che potrebbero, in un ipotetico futuro, generare nuove guerre. Non bastassero già i conflitti in corso a polarizzare i governi in blocchi geopolitici contrapposti, all’orizzonte sono visibili segnali nefasti che lasciano intravedere le ombre di altri ipotetici scontri.
Sia chiaro: non è scontato che ogni zona rossa che andremo a delineare debba automaticamente dare vita ad un braccio di ferro militare tra potenze. Anzi, sperando nell’azione della diplomazia, è auspicabile che i governi coinvolti riescano ad evitare di incrociare le armi.
In ogni caso, è quanto mai doveroso analizzare l’intera scacchiera globale per capire dove sono collocate – o collocabili – queste aree marittime di tensione. Per capire meglio il presente, certo, ma anche e soprattutto in vista di una preparazione futura.
Asia zona rossa: tensioni nell’Indo-Pacifico
L’Indo-Pacifico è la regione da cerchiare con la matita rossa. È qui che sono concentrate le più numerose – e probabilmente più scottanti – zone marittime di tensione al mondo. Nella nostra disamina, impossibile non partire dal Mar Cinese Meridionale, dove sussistono almeno due scenari da incubo.
Il primo chiama in causa Taiwan, ormai chiamata a fare i conti con sortite giornaliere di aerei e navi da guerra cinesi che lambiscono i suoi territori. Il contesto, in pillole, è il seguente: Pechino ritiene l’isola una provincia ribelle da riannettere – con le buone o, se serve, con le cattive – mentre Taipei si considera indipendente e vuole mantenere questo status. Per farlo, quest’ultima ha rafforzato i rapporti con gli Stati Uniti e i loro partner, dal canto loro ben felici di supportare – anche militarmente, attraverso la vendita di armi – una roccaforte anti cinese incastonata nell’Asia meridionale.
Già , perché nell’ottica statunitense Taiwan rappresenta la prima, grande barriera che costringe la Cina a limitare la sua espansione marittima verso l’Oceano Pacifico. In un simile ring, sbandierando il principio di un “Indo-Pacifico libero e aperto” gli Usa sono soliti inviare nello stretto di Taiwan navi o portaerei. Si capisce, quindi, che il rischio di un incidente nell’area, anche solo accidentale, tra mezzi cinesi e americani è altissimo.
L’altro scenario in loco, molto utopico, chiama invece in causa un eventuale scontro tra le navi cinesi e la marina di uno dei Paesi che si affacciano sul Mar Cinese Meridionale, che potrebbe scatenare un incendio con intervento a catena di altri governi.
Sempre in Asia, la massima attenzione deve essere posta nell’Oceano Indiano, dove Nuova Delhi sta cercando di consolidare la propria presenza per creare un collegamento con l’Africa orientale, in un’azione che potrebbe collidere con le ambizioni di Pechino, da tempo impegnata a connettere la propria economia a quella africana mediante, anche, la Nuova Via della Seta marittima. Lo spazio di manovra rischia di essere troppo stretto per due potenze rivali come Cina e India.
Molto più a est, invece, i riflettori dovrebbero essere puntati verso due aree specifiche: tra il Giappone e la penisola coreana – attenzione agli stretti strategici di Tsushima, Soya e Tsugaru – e nel mare del Giappone (o di Corea). In entrambi i casi, a creare scintille con la triade Seul-Tokyo-Washington troviamo le marine russe e cinesi.
Dal Medio Oriente al Mediterraneo: le altre aree calde
Quanto è invece possibile assistere allo scoppio di una guerra marittima in Europa? In seguito al conflitto ucraino gli equilibri locali si sono modificati e tutto quello che in passato era certo è improvvisamente diventato incerto. La presenza russa nel Mar Mediterraneo rappresenta sempre un campanello d’allarme, così come, più a est, è necessario monitorare quanto accade nella sacca del Mar Nero.
Attenzione, inoltre, al nord Europa. La Finlandia è entrata nella Nato, la Svezia è ancora in attesa di capire quale sarà il suo futuro. Nel frattempo, le attività marittime nella regione sono diventate più intense, tanto che l’esplosione che ha messo fuori gioco il gasdotto Nord Stream ha acceso i riflettori sul Mar Baltico, salita alla ribalta come zona strategica sensibile, così come sull’Artico, per il quale Cina e Russia hanno deciso di cooperare in più ambiti, innescando la preoccupazione del blocco occidentale.
In Medio Oriente spicca invece l’irrisolto nodo iraniano: poiché i rapporti tra Teheran e Washington restano pessimi, il governo dell’Iran, in caso di tensioni crescenti, potrebbe sempre attivare la cosiddetta leva dello stretto di Hormuz, sequestrando le imbarcazioni commerciali nemiche o limitandone il passaggio. In un fantomatico worst case scenario, il Golfo Persico rischierebbe così di infiammarsi.
Nelle Americhe la situazione è apparentemente più tranquilla. Escludendo i mari che circondano gli Usa, le uniche aree marittime critiche chiamano in causa Cuba, Nicaragua e parte dell’America Latina. In merito al primo punto, Pechino e l’Havana pare che abbiano rinsaldato le relazioni, con il Dragone pronto ad inaugurare una o più strutture di spionaggio sull’isola a pochi passi dal territorio statunitense.
Diverso il discorso relativo al Nicaragua: da anni il Dragone sta cercando di finanziare un canale di Panama alternativo, il canale del Nicaragua, al momento un progetto fantasma, ma che potrebbe essere considerato una minaccia da Washington a fronte di un declino assoluto nella diplomazia sino-americana.
In America meridionale, infine, attenzione al consolidamento della presenza cinese nell’intera regione. Che potrebbe anche tradursi in nuove basi, e nell’opportunità , sempre da parte di Pechino, di solcare mari in passato inarrivabili. Difficilmente, in tal caso, gli Stati Uniti resteranno a guardare. Le aree di crisi sono situate altrove ma, come abbiamo visto, le acque del mondo intero ribollono di tensioni.
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