“Le aziende devono smettere di rifarsi a false soluzioni ed iniziare a deplastificare le loro attività, poiché questa è l’unica via d’uscita dall’inquinamento globale da plastica e dalle sue devastanti conseguenze ambientali ed umane”: è quanto si legge all’interno di un rapporto recentemente pubblicato dall’organizzazione Surfrider Foundation Europe, con il quale sono state illustrate le cinque strategie attuate da alcune delle aziende più grandi del mondo con lo scopo di ritardare l’esecuzione di azioni finalizzate a ridurre il loro utilizzo di plastica. Colossi come Coca-Cola, Nestlé, Adidas ed Unilever, infatti, hanno deciso di applicare tali tattiche, contribuendo alla mancata risoluzione dell’inquinamento da plastica nonostante la crescente consapevolezza del problema e l’urgente necessità di agire.
Tra le tecniche utilizzate dalle aziende troviamo innanzitutto quella consistente nello scaricare la responsabilità del problema. Alcune società, tra cui la citata Nestlé, hanno infatti “sviluppato strategie che enfatizzano il ruolo dei cittadini e delle amministrazioni locali nella gestione della crisi della plastica, riducendo così al minimo il proprio ruolo e dovere di usare meno plastica”. In pratica, secondo il messaggio fatto passare dalle aziende, l’inquinamento da plastica si verificherebbe soprattutto a causa del consumatore, che non riuscirebbe a smistare l’imballaggio nel giusto cestino, e delle autorità locali, che non gestirebbero correttamente i rifiuti. Una narrazione che sembrerebbe finalizzata alla deresponsabilizzazione, con le aziende che così facendo giustificherebbero le azioni inadatte a risolvere il problema. Un punto, quest’ultimo, dimostrato soprattutto dalla seconda strategia utilizzata da alcune società, che scelgono di “investire nella direzione sbagliata”. “Una grande azienda petrolchimica come TotalEnergies – si legge ad esempio nel rapporto – ha strutturato i propri investimenti e la propria strategia di ricerca e sviluppo verso la realizzazione di nuove capacità nella produzione di materie prime vergini, riciclate o bioplastiche”, supportando così in maniera consapevole “infrastrutture e tecnologie di lunga durata che falliscono nell’affrontare la crisi della plastica”. Come sottolineato da Surfrider Foundation Europe, infatti, misure del genere “non risolveranno con successo la crisi della plastica se non accompagnate da una forte strategia di deplastificazione”: del resto, “l’aumento della plastica riciclata o della bioplastica non può impedire alla plastica di raggiungere l’oceano, né può ridurre i rischi sanitari e per i diritti umani ad essa legati”.
La terza tattica, poi, è quella con cui aziende come Adidas e IKKS forniscono informazioni alquanto ottimistiche sui loro prodotti. I colossi, infatti, hanno sviluppato “strategie di comunicazione” volte a convincere i consumatori che i loro prodotti contribuiscono a “salvare l’ambiente”, dando l’impressione – attraverso determinati slogan e loghi – di “essere impegnati a ridurre il loro impatto sulla plastica e che il consumatore possa fare la differenza acquistando i loro prodotti”. Peccato che questi ultimi non abbiano “in alcun modo dimostrato di avere impatti benefici” dal punto di vista ambientale, il che induce a pensare che le strategie comunicative appena descritte altro non siano che un’operazione di greenwashing. L’ambientalismo di facciata, del resto, sembra confermato anche dalla quarta tecnica utilizzata da alcune aziende, incentrata sugli indicatori di sostenibilità. Gli stessi, infatti, “sono diventati come i filtri di ‘bellezza’ di Instagram” per multinazionali come Unilever, che “fornisce un buon esempio di come le scarse prestazioni di riduzione della plastica possano essere rese più belle con metodologie di calcolo lusinghiere o poco chiare, rapporti e strumenti di valutazione”.
Anche la quinta strategia, infine, pare legata al greenwashing, con diverse società che cercano di risultare pubblicamente a favore della sostenibilità, salvo poi operare privatamente contro di essa. Aziende come Coca-Cola, ad esempio, “sono diventate esperte nella lotta discreta alle normative sulla plastica”, riuscendo negli anni a porre i bastoni tra le ruote a quelle “decisive per la riduzione della stessa”. Un comportamento certamente sorprendente, soprattutto se si considera che “negli ultimi decenni l’uso della plastica in tutto il mondo è cresciuto in modo esponenziale, con 368 milioni di tonnellate di plastica prodotte nel 2020. L’adozione di misure adeguate, dunque, risulta di fondamentale importanza per arginare l’inquinamento da plastica, che di questo passo “potrebbe triplicare entro il 2040”.
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