Nell’agosto 2017 la Cina ha inaugurato la sua prima – e fin qui unica – base militare all’estero. A Gibuti, nel Corno d’Africa, Pechino spiegava di aver aperto un centro di supporto pensato per contribuire a mantenere la pace nella regione e rendere più efficienti gli sforzi umanitari cinesi nel continente africano.
“La base di Gibuti non ha nulla a che fare con una corsa agli armamenti o un’espansione militare. La Cina non ha intenzione di trasformare il centro logistico in un punto d’appoggio militare”, scriveva l’agenzia di stampa statale Xinhua, coprendo l’evento.
Chiaramente, oltre alle motivazioni ufficiali di natura diplomatica e di supporto ai governi africani, dietro all’apertura della base cinese non mancano le ragioni strategiche. Innanzitutto Gibuti, un Paese poco più grande dello stato americano del New Jersey, si trova di fronte allo stretto di Bab al-Mandab e vicino al Canale di Suez, attraverso il quale transita, ogni anno, fino al 10% del commercio mondiale di petrolio via mare (e non solo quello).
Dopo di che ricordiamo che qui sorgono altre installazioni militari straniere, tra le quali quelle di Usa, Regno Unito, Italia, Arabia Saudita, Giappone e Francia, e che l’inserimento cinese non ha fatto altro che rendere più affollata la presenza straniera in loco.
L’altro uso della base cinese di Gibuti
Supporto umanitario in Africa, tutela degli investimenti cinesi nella regione e punto di appoggio strategico per il monitoraggio di uno dei choke point più delicati del mondo, quale è il Canale di Suez. Per la Cina, tuttavia, la base di Gibuti ha anche un altro utilizzo, strettamente connesso con la corsa allo spazio.
Lo scorso gennaio, infatti, l’Hong Kong Aerospace Technology Group (Hkatg), una società con sede a Hong Kong collegata a Huawei, in collaborazione con Touchroad International Holdings, hanno firmato un memorandum con le autorità di Gibuti per costruire e gestire uno spazioporto orbitale che coprirà almeno dieci chilometri quadrati.
Il sito, che dovrebbe includere sette piattaforme di lancio e tre piattaforme di prova missilistica, sorgerà proprio a Gibuti e, quando sarà completato, diventerà il primo in assoluto mai costruito sul suolo africano. Hkatg ha firmato un memorandum d’intesa sul progetto con il governo di Gibuti e con la suddetta Touchroad, società che ha costruito diverse fabbriche e zone economiche speciali in tutta l’Africa.
Ismail Omar Guelleh, presidente di Gibuti, ha dichiarato su Twitter che lo spazioporto, dal valore di 1 miliardo di dollari, impiegherà cinque anni per essere costruito e sarà trasferito al governo dopo 30 anni (altre fonti sostengono 35 anni).
Il ruolo chiave dell’Africa per la corsa allo spazio
Il progetto dello spazioporto, che sorgerà nella regione settentrionale di Obock, comprenderà anche la costruzione di centrali elettriche, impianti idrici, un porto e pure un’autostrada di livello internazionale. “Gibuti è stato scelto per ospitare questo progetto per via della sua posizione geografica, vicino all’Equatore, favorevole per scattare foto ad alta definizione nelle missioni di osservazione e analisi di missili aerospaziali e satellitari”, ha dichiarato il governo di Gibuti dopo la firma del memorandum.
L’intesa consentirà al piccolo Paese africano di trasformarsi nel prossimo hub spaziale strategico dell’Africa, mentre alla Cina di continuare nella sua corsa verso lo spazio. In tutto questo, il continente nero può sorridere. Già, perché secondo un report del 2022 della società di ricerca Space in Africa, il valore dell’industria spaziale e satellitare africana un anno fa sarebbe salito a oltre 19,6 miliardi di dollari.
Ma perché puntare sull’Africa orientale? Queste nazioni sono ben posizionate in quanto vicinissime all’equatore, dove per effettuare varie operazioni è richiesta un’energia minima. E dove la Terra ruota più velocemente, dando una spinta ai razzi. L’Africa è poi al centro del mondo. In termini di tracciamento dei satelliti – e persino di ricezione dei segnali e monitoraggio – è, a detta degli esperti, il continente situato nella posizione migliore. La Cina non vuole farsi sfuggire queste opportunità a (relativamente) buon mercato.
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