Lo sfogo degli abitanti delle banlieue, i banlieusard, è finito. I residenti degli imponenti, fatiscenti e sovrappopolati quartieri dormitorio che circondano le città francesi hanno richiuso il vaso di Pandora aperto inavvertitamente da un poliziotto la mattina del 27 giugno, con l’assassinio di Nahel Merzouk, e adesso in Francia è iniziato il momento del dibattito e della riflessione.
I commissariati e gli enti correlati hanno concluso i loro calcoli, trasmettendo all’Eliseo ogni dato a disposizione su danni umani ed economici dell’insurrezione, e hanno confermato ufficialmente che si è trattato della più grande e grave sollevazione razziale della storia del Paese.
Durante la otto giorni di devastazioni e saccheggi, che ha tenuto sotto scacco la Francia dal pomeriggio del 27 giugno alla notte del 4 luglio, si sono incontrate le strade di chi avanzava embrionali richieste di giustizia sociale, come la fine della profilazione razziale da parte delle forze dell’ordine, e di chi inseguiva la mera e pura anarchia. Ma c’era anche chi, confondendosi tra le folle di riottosi, approfittava del caos generale per sfidare lo Stato: il narco-banditismo.
La più grave guerra urbana della Francia contemporanea
La sollevazione delle banlieue è terminata. Gli ultimi roghi e gli ultimi saccheggi significativi sono stati registrati nella notte del 4 luglio e da allora, per le strade distrutte di Francia, domina la classica quiete che precede o segue una tempesta. È quiete di plastica, impregnata – forse più di prima – di nervosismo interetnico, ma è destinata a durare almeno qualche anno, forse un decennio, perché servirà del tempo prima che la rabbia, ora scaricata del tutto, si accumuli fino a rendere inevitabile un’altra esondazione.
Il bilancio della otto di giorni di guerra urbana ha ampiamente superato, per danni ed estensione geografica, quello della prima e storica rivolta delle periferie del 2005. Un superamento legato a questioni demografiche – la crescita delle banlieue e dei banlieusard –, ragioni sociali – l’assenza di progressi nell’integrazione dei figli e dei nipoti degli immigrati trasferitisi in Francia dalle ex colonie a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta – e cambiamenti politici – l’aumento dei sentimenti di autonomia e/o indipendenza nei Territori d’oltremare.
Gli appelli profetici di Mathieu Kassovitz, autore de L’odio, e di Samira Bellil, autrice di Via dall’inferno, sono rimasti inascoltati. I cadaveri di nuovi Zyed Benna hanno continuato ad accumularsi. Un assimilazionismo disfunzionale, che ha chiesto spoliazione identitaria offrendo segregazione sociospaziale, ha prodotto criminalità, disoccupazione, insofferenza e radicalizzazione. Le influenze malevoli di abili approfittatori esterni, dall’Islam radicale a potenze rivali di Parigi, hanno fatto il resto. E il risultato, al termine di otto giorni di violenze transnazionali, è un bollettino di guerra:
- Oltre un miliardo di euro di danni;
- 5900+ vetture incendiate;
- 3300+ arresti;
- 1000+ edifici distrutti/danneggiati a causa di assalti/incendi dolosi;
- 800+ feriti tra gendarmi, pompieri e poliziotti;
- 3 morti;
La violenza dei riottosi ha colpito banche – oltre trecento le sedi e/o i bancomat distrutti –, supermercati, esercizi commerciali e negozi di grandi firme – più di seicento i siti saccheggiati – e non ha risparmiato asili, monumenti, parchi e scuole.
Ma all’interno della guerra urbana, che ha trasformato momentaneamente la Francia nel set di una distopia postapocalittica a metà tra Athena e The Purge, ha avuto luogo un’altra guerra: quella del narco-banditismo contro le istituzioni. Che è stata vinta dal narco-banditismo.
La guerra nella guerra
Commandi organizzati e pesantemente armati, rispondenti alla galassia di clan e cartelli che dominano il panorama criminale transalpino, hanno dato vita ad una guerra nella guerra durante la otto giorni di caos che ha scosso la Francia.
Forti di uno sterminato arsenale da guerra, includente bombe carta, fucili, fuochi pirotecnici, lanciarazzi, mitragliatrici e mortai, i commandi del narco-banditismo sono stati in grado di mettere all’angolo le forze dell’ordine. Che non solo non hanno messo piede nelle banlieue a causa della nota presenza di cecchini, ma sono state anche vittime di imboscate e di assalti armati a caserme e commissariati.
Un quarto di tutti gli edifici che sono stati distrutti o gravemente danneggiati nel corso della sollevazione popolare non è stato l’oggetto di sfogo della rabbia cieca dei banlieusard, ma un obiettivo specifico della violenza organizzata di una parte di loro: i narcobanditi.
Dei mille e poco più edifici che hanno subito danneggiamenti di entità variabile, duecentosessantanove sono caserme, commissariati e questure, ovvero le sedi di polizia e gendarmeria, e sono stati letteralmente bombardati da commandi muniti di armi da fuoco, bazooka, bombe carta, fuochi pirotecnici e mortai. Nessun morto, ma tre poliziotti feriti con dei fucili da caccia.
Reagire agli assedi, che in Francia non sono una novità, è stato estremamente complicato per almeno tre ragioni: i quarantamila poliziotti extra dispiegati da Emmanuel Macron erano già impegnati coi riottosi nei centri città, i siti colpiti erano carenti di personale a causa dell’emergenza rivolte, le bande inviavano i propri commandi in punti diversi nello stesso momento. Attacchi coordinati. O, come ricostruito dalla polizia, “guerriglia organizzata”.
Gli episodi di violenza imputabili ai narcobanditi si sono contraddistinti da quelli delle folle di riottosi per la metodicità, l’organizzazione e la preparazione. Rapidi, efficienti e focalizzati, i narcobanditi hanno preso d’assalto gli edifici delle istituzioni e dei loro difensori, compiendo attacchi ad alto impatto visivo e ad alto contenuto simbolico che hanno monopolizzato le bacheche dei social media di Millennials e Zoomers, come SnapChat, TikTok e Telegram.
I clan hanno condotto raid contro sedi delle istituzioni locali – più di cento – e hanno infiltrato i loro uomini nei tafferugli con le forze dell’ordine, affrontate da banditi “con esperienza in scontri tra gang”, e nei saccheggi, facendosi riconoscere dall’utilizzo di veicoli-ariete e dal possesso di ordigni, col duplice obiettivo di ergersi a simboli della comunità e di reclutare nuovi membri.
Nebbia nel futuro della Francia
Il narcobanditismo sarebbe stato il protagonista indiscusso ma defilato della sollevazione popolare. Sollevazione che, secondo fonti informate della polizia e veterani dell’anticrimine, come Frédéric Ploquin, le bande avrebbero prima infiltrato e dopo sedato.
I clan che dominano l’universo criminale francese avrebbero intravisto nell’infiltrazione delle rivolte un nuovo modo “per marcare il territorio”, nonché un’opportunità irripetibile di reclutare giovani arrabbiati e privi del timore della divisa. Ma in un secondo tempo, raggiunti i loro obiettivi e mossi dalla volontà di tutelare i traffici illeciti – interrotti dai disordini –, avrebbero ordinato ai banlieusard di deporre le armi. Nulla di nuovo sotto il Sole: accadde già nel 2005.
La grande rivolta del 2023 avrebbe dimostrato che pace e guerra in Francia dipendono, più che dall’Eliseo, dal volere dei potenti e violenti clan del narcobanditismo che legiferano nelle 1.500 banlieue sparse in tutto il territorio. Questa è l’opinione dell’esperto Ploquin, dell’agente Rudy Manna e di altri poliziotti che hanno parlato con la stampa a condizione di anonimato.
L’assimilazionismo disfunzionale alla francese ha fallito: l’integrazione è diventata segregazione informale. I quartieri dormitorio sono delle bombe demografiche in cui un giovane su tre è disoccupato e dove la percezione di insicurezza è quasi tre volte maggiore che nel resto del Paese. Il vuoto lasciato dalle istituzioni è stato colmato da crimine organizzato e Islam radicale, che non di rado formano alleanze, e la situazione in alcune periferie è tale da aver spinto i servizi segreti a parlare dell’esistenza di “territori perduti”. Le violenze del 2023 sono il risultato della concatenazione di ognuno dei fattori di cui sopra.
In assenza di politiche lungimiranti e onnicomprensive, che siano in grado di sciogliere ogni nodo della questione banlieue e di ridurre la conflittualità insita nell’attuale processo di transizione verso la piena multietnicità, la Francia è destinata a sperimentare un crescendo di instabilità di carattere socio-razziale e a vivere scenari neomedievali di guerre civili molecolari, capillarizzazione di zone grigie e processi di messicanizzazione e di tribalizzazione. Un capolinea che attenderà tutti quei paesi europei, Italia inclusa, che non sapranno imparare dagli errori dell’Eliseo.
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