Successore del colonnello Renzo Rocca all'Ufficio REI dei servizi segreti, la misteriosa personalità del generale Nicola Falde, ricostruita attraverso gli atti della Commissione d'Inchiesta sulla P2, ci permette di entrare nel sottobosco del potere dei primi anni '70, toccando alcuni dei più importanti scandali e misteri della storia italiana.
Falde: Gelli cercava un suo centro d'informazione e voleva utilizzare l'agenzia OP come suo organo. Diceva che voleva utilizzarla, ma di fatto cosa voleva fare? Una raccolta di notizie dalla periferia massonica a lui. Lui si teneva queste notizie e poi le avrebbe utilizzate. Cioè, nell'attività di Gelli si vede sempre un disegno costante di farsi un suo centro d'informazione. Praticamente, l'informazione è stata per lui un'arma operativa...
Presidente (Tina Anselmi): Generale Falde, in che senso Gelli ha fatto dell'informazione, come lei ha detto, un'arma operativa?
Falde: Chi conosce controlla e può condizionare. La conoscenza è fondamentale; un'informazione retta e giusta consentirebbe allo Stato di essere più sicuro; un'informazione deviata, come sempre quella che ha avuto lo Stato, e ne abbiamo un esempio doloroso attraverso il degrado delle istituzioni... Cioè, se lo Stato, attraverso il servizio d'informazione, invece di avere un'informazione esatta, giusta e precisa, ha informazioni deviate, naturalmente la situazione è quella che noi vediamo...
(Commissione P2, Volume VI, sedute 8 ottobre 1 novembre 1982)
Ufficiale dei servizi segreti, faccendiere, mediatore, amico dei potenti, informatore, vittima di un persecuzione politica, influencer, intossicatore ambientale oppure personaggio che perseguiva un proposito personale di vendetta; il generale Nicola Falde è forse stato tutte queste cose insieme, o nessuna. Se la sua figura è uscita fuori dal cono d'ombra del potere, lasciando uno strascico di tracce nei documenti delle commissioni parlamentari, in diversi procedimenti giudiziari, e sulla stampa, è stato principalmente perché la sua vicenda umana si è trovata, in un passaggio cruciale della storia del paese, nei pressi dei principali centri direttivi del poteri occulti, nel mezzo di uno scontro di forze che è stato decisivo per le sorti del paese, nel momento in cui la diffusione di massa di giornali, e soprattutto dei settimanali, iniziò ad essere in grado di orientare vaste porzioni dell'opinione pubblica nazionale.
In quel passaggio d'epoca, in una società in cui agivano potenze e tensioni divaricanti, cambiava sia lo statuto dell'informazione che la natura, l'organizzazione e le strategie degli apparati dei servizi. Proprio in quegli anni venne coniata la definizione "servizi deviati", per indicare ruoli e compiti che uscivano dal dettato costituzionale, mentre un altro termine prendeva piede nel linguaggio giornalistico: "depistaggio".
Nelle testimonianze lasciate dal generale Falde è riscontrabile sia la legittima preoccupazione personale che la sua fedeltà alle istituzioni venisse evidenziata limpidamente nelle vicende in cui egli stesso si è trovato coinvolto, sia l'impossibilità di negare una decisa intenzione perseguita nel volersi situare a tutti i costi in prossimità di quelle centrali del potere che gestivano uomini e risorse, nascosti dietro le quinte dello spettacolo politico-mediatico; anche quando era, a suo dire, un "militare a riposo". Tra le tante testimonianze, spesso discordanti tra loro, questa ricostruzione si basa sulle dichiarazioni dello stesso Falde, e di altri protagonisti delle vicende, rilasciate nel corso degli anni ai giornali ed agli atti della magistratura e della commissione parlamentare d'inchiesta sulla Loggia P2 presieduta dall'on. Tina Anselmi.
La tempesta perfetta sulle attività dell'Ufficio REI di Renzo Rocca
A partire dal 1966, con la riforma dei servizi segreti che portò alla costituzione del SID (Servizio Informazioni Difesa), sotto la direzione dell'ammiraglio Eugenio Henke, l’Ufficio REI (Ricerche Economiche Industriali) dell'ex SIFAR, diretto ininterrottamente dal colonnello Renzo Rocca (dall'inizio degli anni '50 la centrale di collegamento tra i servizi ed il mondo economico e finanziario), venne fortemente ridimensionato nelle sue funzioni e nel bilancio, passando alle dipendenze dell’Ufficio D, mutando il nome in Ufficio RIS (Ricerche Speciali). L'imponente archivio della struttura venne spostato da Rocca stesso in un ufficio della FIAT di via Bissolati a Roma, dove il colonnello si era trasferito dopo aver lasciato il servizio. L'ex Ufficio REI, tra la fine del 1967 ed il 1969, fu ereditato dal colonnello Nicola Falde.
Originario di Santa Maria Capua Vetere, Nicola Falde, nato nel 1917 ed entrato nella carriera militare nel 1932 alla Nunziatella di Napoli, dopo la guerra, durante la quale fu catturato dagli inglesi e tenuto prigioniero in un campo di concentramento in India, era stato segretario particolare del potente politico fanfaniano, massone iscritto alla loggia Giustizia e Libertà, Giacinto Bosco (anch’egli di Santa Maria Capua Vetere), dal periodo in cui questi era Sottosegretario alla Difesa (1953-58), fino al 1966, quando Bosco era Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale. Tornato nei ranghi delle forze armate, Falde assunse l'incarico prima come capo della direzione dell’ufficio UISE (Euratom), nel 1966, per poi passare nell'anno successivo all'Ufficio REI del SID.
La prima riforma repubblicana dei servizi segreti coincise con lo scoppio dello scandalo sui dossier del SIFAR e con le prime indiscrezioni sul tentato golpe del generale De Lorenzo. Renzo Rocca, trovatosi al centro della tempesta politica e giornalistica, scaricato da Paolo Emilio Taviani, venne esposto agli attacchi delle opposizioni parlamentari e del generale Giuseppe Aloia, capo di Stato Maggiore della Difesa. Dallo scandalo emergeva il ruolo di Rocca nell'imponente schedatura e che l'Ufficio REI, oltre ad aver fornito protezione ed assistenza al contrabbando, effettuato il reclutamento di civili per funzioni di disturbo delle manifestazioni di piazza, finanziato organizzazioni dell'estrema destra come Ordine Nuovo e organizzato campagne diffamatorie contro le opposizioni ed i sindacati di sinistra, era anche una struttura di finanziamento occulto di correnti dei partiti politici e giornali.
Rocca morì tragicamente nel suo ufficio di via Bissolati, il 27 giugno del 1968, con un colpo di pistola alla testa, in circostanze che non sono mai state chiarite del tutto. Lo stesso giorno il colonnello aveva ricevuto una telefonata da Nicola Falde (alle 14:15) che gli chiese un appuntamento, probabilmente per avere ulteriori spiegazioni in relazione al suo nuovo incarico all’Ufficio REI. L'appunto fu trovato annotato sulla sua agenda: “Alle 17:30, al bar delle Terme, incontro con Falde” e, per assicurarsi la puntualità, Rocca aveva avvisato il suo autista, l'ex carabiniere Luigi Jacobini. La mattina stessa il ministro Paolo Emilio Taviani, cercato telefonicamente due volte dal colonnello, si era fatto negare dalla sua segreteria.
Le indagini condotte dal giudice Ottorino Pesce, nonostante le continue invasioni di campo degli uomini del SID, che fecero sparire anche l'archivio dell'ex militare, trovarono diversi indizi che smentivano l'ipotesi del suicidio. Un mese dopo però, il procuratore generale della Corte d'Appello di Roma, Ugo Guarnera, su sollecitazione dell'ammiraglio Henke, tolse l'inchiesta al magistrato per affidarla al giudice Ernesto Cudillo (il quale tre anni dopo si rese protagonista rinviando a giudizio Pietro Valpreda ed altri anarchici per la strage di Piazza Fontana). Ottorino Pesce morì due anni dopo d'infarto, a 39 anni.
Nonostante la chiusura delle indagini per suicidio, Falde fu inseguito per anni dal sospetto di essere stato l'esecutore dell'omicidio di Rocca, ma la Commissione parlamentare di inchiesta sugli eventi del giugno-luglio 1964 (SIFAR), presieduta dall'onorevole Giuseppe Alessi, non volle acquisire la sua deposizione. Anni dopo, nell’ambito delle indagini sulla strage di Brescia, Falde rilasciò una dichiarazione su Rocca che non aiuta certo a diradare le nebbie:
ll colonnello Rocca non aveva rapporti molto stretti con gli americani, anzi egli era più il referente della lobby informativa inglese che non di quella statunitense. Tuttavia egli manteneva rapporti con gli americani a seguito della forte influenza che D’Amato (capo dell’Ufficio Affari Riservati del Ministero dell’Interno, ndr) esercitava su Henke. Preciso che quest’ultimo fatto, cioè l’influenza di D’Amato su Henke, è una mia supposizione non acclarata da dati di fatto. (deposizione di Nicola Falde a personale del ROS, 26 giugno 1995).
Pochi mesi dopo il “suicidio” dell'ex capo dell'Ufficio REI, Falde, ancora a capo dell'ex Ufficio REI, fu oggetto di ripetuti attacchi giornalistici condotti da Mondo d'Oggi, una rivista dell'editore Leone Cancrini, diretta da Paolo Senise e Franco Simeoni, entrambi legati ad ambienti di destra ed ai servizi segreti, con la quale aveva iniziato una collaborazione anche l'avvocato Carmine Pecorelli. Nell'ambito di uno scontro tra le aziende di Stato per le commesse militari, la rivista accusava il generale di patrocinare l'acquisto dei carri armati M47, già in dotazione all'Esercito italiano dagli anni '50, per favorire la commessa per la riparazione e l'assemblaggio alla Oto-Melara di La Spezia.
In un esposto denuncia presentato alla Commissione d'Inchiesta sulla P2, il 10 agosto 1982, Falde, che riteneva Henke il vero mandante degli attacchi giornalistici, ricostruirà la vicenda relativa al contrasto sulle commesse militari facendola risalire all'autunno del 1966, in seguito all'intervento del senatore democristiano Girolamo Messeri, il quale accusò Henke ed il colonnello Rocca di contrastare le sue attività negli USA.
FONTE E ARTICOLO COMPLETO: https://emilianodimarco.wordpress.com/2015/04/08/dietro-le-quinte-del-potere-un-artenigmatico-generale-del-sid-nicola-falde/
Commenti
Posta un commento
Partecipa alla discussione