Da circa tre anni il «sentiment anti-français en Afrique», l’avversione alla politica estera della Francia in Africa, ha compiuto un salto di qualità. Beninteso, si parla di «sentimento anti-francese in Africa» sin dal 2004, all’epoca delle violente manifestazioni in Costa d’Avorio. Inoltre le più aspre critiche alle relazioni tossiche tra Parigi e gli Stati africani – alla Françafrique (in italiano Franciafrica) – rimontano all’epoca della decolonizzazione, negli Anni cinquanta; rapporti controversi che furono sviscerati nel saggio “Françafrique, il più lungo scandalo della Repubblica”, scritto da François-Xavier Verschave nel ’98. Tuttavia l’accanimento verso l’Hexagone (Esagono) sta montando soprattutto dalla metà del ’20: si usa come data di riferimento la crisi politica in Mali, che condusse al golpe filorusso di agosto, e alle difficoltà dell’Operazione Barkhane.
Missione militare che il presidente Emmanuel Macron ha ordinato d’interrompere nel novembre ’22. A seguire, quelle che i think tank d’oltralpe designano come le radici di quest’odio. La prima è identificata col formarsi di una classe sociale giovane, urbana, informata, istruita, connessa al web, e tuttavia colpita dalla disoccupazione: giovani frustrati per non poter soddisfare le loro ambizioni, che si scagliano contro il capro espiatorio più ovvio, l’ex potenza coloniale. Il secondo motivo riguarda la questione del franc Cfa (franc de la Communauté financière africaine). Si tratta di una moneta ancorata all’euro e garantita dal Tesoro francese, che ha senz’altro tutelato il settore industriale e le imprese agricole; e ha preservato i Paesi interessati sia dagli scossoni d’inflazione e svalutazione, sia dai crolli del prodotto interno lordo.
I più critici però rilevano come questa stabilità finanziaria vada a detrimento di un’autonomia monetaria, che sarebbe necessaria per la tutela dei meno abbienti (ad esempio usando la leva dell’inflazione). Poi più in generale saremmo innanzi a un retaggio coloniale, dato che le politiche monetarie sarebbero pur sempre decise a Bruxelles. La terza ragione ha invece a che vedere con le basi militari, identificate come forze di occupazione. Si osserva cioè che le varie operazioni militari, quando si estendono nel tempo e non ottengono un incontestabile successo, vengono inesorabilmente detestate dai locali. E tuttavia non manca, secondo altri osservatori, la volontà d’individuare in Parigi il colpevole ideale: per mascherare sia il malgoverno locale, sia l’inefficienza delle forze armate.
La quarta ha invece a che vedere con la nuova sensibilità verso i massacri coloniali del passato, che alcuni osservatori derubricano a una sorta di cancel culture africana. Il quinto motivo attiene allo sfruttamento delle risorse strategiche – che si suppone vorace ed eccessivo – da parte dell’ex madrepatria. Tuttavia, secondo alcuni analisti, quell’esclusività transalpina stabilita dagli accordi di cooperazione del ’60 è cosa del passato; anzi, oggi i Paesi africani avrebbero bisogno di un forte incremento dell’interscambio commerciale con Parigi. La sesta riguarda le difficoltà, quando non l’impossibilità, di ottenere visti d’ingresso per la Francia e l’Unione europea. La settima causa è imputata alle interferenze russe: operazioni analoghe rispetto alla campagna di disinformazione, che fu attuata sul web in vista del voto statunitense del ’16. Non manca però chi accusa Parigi di trascuratezza, per non aver saputo prevenire questi attacchi.
FONTE: https://www.notiziegeopolitiche.net/africa-le-sette-radici-dellodio-antifrancese/
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