Una maxi-operazione finalizzata al contrasto di una frode nel settore del riso biologico ha interessato 14 aziende agricole del territorio della provincia di Pavia, in larga parte collocate nel territorio della Lomellina. L’indagine ha portato al sequestro di 11.500 litri di fitofarmaci e di 450 quintali di fertilizzanti. Oltre al materiale rinvenuto gli uomini delle Fiamme Gialle, sono state ritrovate numerosissime confezioni vuote di prodotti fitosanitari già utilizzati e documenti contabili ed extracontabili. L’accusa è quindi di aver dichiarato bio prodotti che non lo sono. Secondo il presidente dell’Associazione Italiana Agricoltura Biologica le cause risiederebbero nella burocrazia che gli ispettori sono dovuti ad affrontare durante i controlli. Tuttavia, secondo altre analisi, ci sarebbe anche un fraintendimento sui regolamenti europei entrati in vigore circa un anno fa. Al momento non sono noti i nomi delle aziende coinvolte.
I controlli sono partiti dall’analisi del Dipartimento repressione frodi sulle annate di produzione di riso biologico a partire dal 2021. Gli elementi raccolti hanno portato all’emissione di un decreto di perquisizione che, giovedì scorso, ha coinvolto 14 aziende che si occupano della coltivazione di riso biologico in provincia di Pavia. Il riso è stato campionato per determinare il livello di contaminazione delle coltivazioni. L’accusa è quindi di aver dichiarato bio prodotti che non lo sono. L’indagine ha portato anche al ritrovamento di fitofarmaci ed erbicidi il cui utilizzo è vietato dalle normative regionali e nazionali. Secondo quanto risulta al Salvagente, le aziende in questione, ad eccezione di una, sarebbero tutte a produzione mista: in parte convenzionale e in parte bio. A certificarle come bio sarebbero gli organismi di controllo Bioagricert e Ecogruppo Italia, che fanno parte dell’associazione Assicertbio.
FederBio, l’associazione dei produttori biologici, si è schierata contro le aziende che fanno falso bio e ha elogiato l’operato della Procura di Pavia. Paolo Carnemolla, Coordinatore Unità di Crisi di FederBio, ha dichiarato: «Esprimiamo pieno sostegno e fiducia alla Magistratura e agli inquirenti che hanno smascherato questa maxi frode. L’esito di questa operazione conferma che il pericolo di truffe è concreto quando sussiste un elevato rischio di commistione fra produzione convenzionale e biologica. Quanto fatto finora non è evidentemente sufficiente a prevenire le frodi, si deve aprire immediatamente un confronto con tutti gli attori della filiera, gli organismi di certificazione e le Autorità competenti a livello regionale e nazionale per rivedere le regole e gli strumenti di certificazione».
Che il settore dell’agricoltura bio sia in sviluppo e che porti a grandi benefici è senz’altro una buona notizia. Lo testimonia anche l’elevato numero di organismi di controllo (ODC), che in Italia sono 19. Tuttavia, sono in aumento anche le frodi sul cibo biologico. Ciò che si chiedono gli scettici è se il fatto che a pagare il controllore sia il controllato possa influenzare la terzietà degli ispettori. Secondo Vincenzo Vizioli, presidente della Fondazione italiana per la ricerca in agricoltura biologica e biodinamica (FIRAB), il passaggio allo Stato non avverrà mai: «Già nel 1991, quando è uscito il regolamento europeo, ogni paese poteva scegliere tra certificazione privata, pubblica e mista. La quasi totalità dei paesi ha scelto quella privata». Anche Giuseppe Romano, presidente dell’associazione italiana agricoltura biologica, difende la qualità del processo, puntando il dito sulla burocrazia: «È chiaro che se un ispettore che deve fare una visita in azienda è costretto a controllare le carte, i registri, le fatture, venendo massacrato da elenchi a crocette da riempire, e tutto senza un minimo di digitalizzazione, finirà per sottrarre tempo al giro per i campi».
Secondo l’inchiesta del Salvagente, un altro problema risiederebbe nel Regolamento europeo del biologico, l’848/2018, entrato in vigore un anno fa. Il testo prevede che se un’azienda in classe di rischio bassa “si comporta bene” per un periodo di 36 mesi, il controllore può anche saltare una visita in loco. Tuttavia sarebbe ancora poco chiaro se l’azienda dovrebbe comunque inviare i documenti necessari per i controlli e alcuni organismi starebbero approfittando del buco per interpretare in maniera meno severa la regola del controllo annuo per azienda.
Commenti
Posta un commento
Partecipa alla discussione