Silvio Berlusconi è stato uno degli ultimi leader italiani ad avere un profilo di statista internazionale valido anche in campo europeo e a immaginare per l’Unione europea un sentiero di sviluppo diverso da quello in cui, molto spesso, limitatezze di vedute e questioni di litigiosità politica interna l’hanno condotta negli scorsi decenni.
“Ha lasciato il segno”, ha dichiarato in occasione della sua scomparsa la presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola, citando il peso europeo del Cavaliere. La politica maltese del Partito Popolare Europeo ha condiviso, fino al ritorno in Senato di Berlusconi nel 2022, lo scranno di Strasburgo con l’ex presidente del Consiglio e ha riconosciuto il peso del Cavaliere nell’influenzare la sfera politica comunitaria. Ursula von der Leyen, che da compagna di partito della Cdu di Angela Merkel fu fautrice dell’austerità più dura nello scorso decennio, ha speso da presidente della Commissione parole calorose verso Berlusconi, mentre anche Viktor Orban ha definito “coraggiosa” la parabola politica dell’ex premier.
Elogi e riconoscimenti dopo la morte non equivalgono a giudizi politici definitivi, sia ben chiaro. Ma negli anni, soprattutto dopo l’accelerazione imposta all’Europa dal Covid-19, molte battaglie portate dal Cavaliere nell’agone comunitario in tempi non sospetti hanno acquisito dimensione trasversale e sono diventate centrali nell’agenda strategica dell’Unione Europea.
La lotta all’austerità
La sfida politica più nota di Berlusconi in Europa è stata quella del rifiuto dell’austerità come linea guida dell’agenda economica europea. Il governo del Cavaliere, nel 2003, volle dare durante la presidenza di turno del Consiglio Europeo da parte dell’Italia un messaggio distensivo contro l’applicazione rigida delle regole di bilancio graziando la Germania, che sforava eccessivamente il rapporto debito/Pil rispetto ai target della sua manovra, dalla promozione di una procedura d’infrazione. Noblesse obligéé, non ricambiata otto anni dopo durante la tempesta dello spread, quando il lancio della linea dura da parte della Germania di Angela Merkel e della Banca centrale europea targata Jean-Claude Trichet, che aumentò i tassi, colpì ai fianchi l’ultimo esecutivo del Cavaliere, provocandone la caduta.
Nel frattempo, Berlusconi e il suo esecutivo di centrodestra, l’ultimo direttamente legittimato alle urne fino a quello di Giorgia Meloni nato nel 2022, avevano provato a mediare su più fronti. Da un lato, denunciando l’assurdità dell’imposizione di regole strette sui tagli alla spesa pubblica come viatico per il ritorno alla crescita secondo uno schema che fu sostenuto anche dall’editorialista del Financial Times Wolfgang Munchau, dall’altro non mancando di mantenere una politica di bilancio cauta sul fronte interno e una posizione assertiva in Europa. In particolare, furono due le iniziative, una sola delle quali ebbe successo, con cui il Cavaliere provò a giocare la partita anti-austerità in Europa. Da un lato, con successo, promosse la scelta di Mario Draghi come governatore della Bce nel 2011, vincendo la concorrenza tedesco-olandese, e riunendo per un breve periodo un compatto fronte mediterraneo anti-rigorista. Draghi aprì la strada al quantitative easing e al superamento dell’ora più buia dell’austerità.
Dall’altro, Berlusconi e il Ministro dell’Economia e delle Finanze Giulio Tremonti furono, assieme al premier lussemburghese Jean-Claude Juncker, i fautori dell’emissione di debito comune europeo con i cosiddetti Eurobond per finanziare comune politiche anticrisi per rilanciare l’Europa. Qui il blocco rigorista ebbe successo a fermare quella che sarebbe stata un’anticipazione del fondo Next Generation Eu messo in campo dopo la crisi pandemica. E, ironia della sorte, spinto proprio dall’ex regina del rigore Angela Merkel.
Il nodo immigrazione
Un altro tema su cui Berlusconi ha più volte chiamato l’Europa in campo è quello dell’immigrazione. I suoi governi hanno dovuto affrontare la prima ondata dell’emergenza sbarchi dal Nord Africa, complice il deperimento della situazione securitaria tra Nord Africa e Maghreb a inizio Anni Duemila.
Berlusconi ha sempre promosso l’idea secondo cui chi sbarca in Italia sbarca in Europa e le frontiere mediterranee della Penisola fossero a tutti gli effetti frontiere europee. Chiamando a una gestione collegiale dell’immigrazione.
Nel 2003 Berlusconi aveva promosso l’aggiornamento delle Regole di Dublino per gestire un’immigrazione extra-comunitaria proveniente da più fronti, Balcani e Nord Africa, in numeri non ancora massicci come quelli attuali. Con le regole “il trattato firmato dal governo di centrodestra aveva aggiunto l’obbligo di prendere le impronte digitali”, nota Italia Oggi. “Adesso sembra un’ovvietà” ma allora erano notevoli gli appunti da parte di coloro che ritenevano “una discriminazione prendere le impronte ai soli extracomunitari. Esse però sono servite a creare per la prima volta una banca dati ottenendo così l’emersione di identità e pratiche multiple” e riducendo dal 2003 al 2004 del 40% gli arrivi irregolari in Italia.
Roma promosse inoltre l’ampliamento delle politiche di liberalizzazione dei visti e ampliamento della cooperazione per aiutare nei Balcani occidentali i paesi maggiormente esposti all’immigrazione (Serbia, Kosovo, Bosnia, Montenegro, Croazia, Macedonia ed Albania) e aprire a replicare in questo campo tale protocollo nei confronti dell’Africa, per tagliare le gambe ai trafficanti di esseri umani tutelando i canali regolari di afflusso verso l’Europa. La miopia di Bruxelles è spesso stata notevole. Ma il leader che, come ha detto Ursula von der Leyen, ha “guidato e plasmato” l’Italia, ha avuto in seguito un rilancio di attenzione per la sua visione con l’esplosione della bomba migratoria nello scorso decennio. Dopo la quale si è arrivati alla volontà di aggiornare ulteriormente le regole europee per gestire nei Paesi di provenienza dei migranti l’emergenza.
Il precursore dell’autonomia strategica
Un altro tema su cui Berlusconi ha anticipato i tempi è stato quello dell’autonomia strategica europea. Vista non in antitesi all’alleanza occidentale ma piuttosto come un complemento alla visione di un campo atlantico dotato di una guida americana e di una solida gamba europea.
Berlusconi ha rivendicato la posizione di Forza Italia nel Partito Popolare Europeo in piena continuità con la visione di figure come Alcide De Gasperi e gli altri padri dell’Europa, provenienti proprio dall’alveo democratico-cristiano: “l’Europa che avrebbero voluto i padri fondatori era un grande spazio di libertà, non una gabbia burocratica”, dichiarò Berlusconi nel 2017, aggiungendo che “si sarebbe dovuta basare su valori condivisi, sulle comuni radici giudaico-cristiane e greco-romane, e quindi avere assolutamente una politica estera e una politica di difesa comuni che la imponessero come potenza mondiale alla pari di Stati Uniti, Federazione Russa e Cina”. Sulle orme di De Gasperi, Berlusconi ha immaginato lo spazio europeo della sovranità industriale, tecnologica, militare per plasmare una vera “Europa dei popoli”.
Da tempo Berlusconi premeva perché l’Europa si dotasse di strumenti di cooperazione e rilancio della sua visione politica. In tempi non sospetti, dunque, parlava già di autonomia strategica, prima che a farlo fossero Emmanuel Macron e altri importanti leader del presente. In vista del voto del 2022, Forza Italia ha messo in programma il sostegno a un esercito europeo come strumento di deterrenza.
Nessun complesso di inferiorità
La scomparsa del Cavaliere ne ha fatto emergere, sotto diversi punti di vista, la lungimiranza in Europa. Una politica diplomatica spesso promossa più a livello di fattore umano che di strategia diplomatico-geopolitica codificata ha visto Berlusconi promuovere un europeismo tiepido nell’adesione alle logiche tradizionali dell’Europa post-Guerra Fredda a trazione franco-tedesca ma estremamente caloroso nel consolidare una visione più ambiziosa per il Vecchio Continente.
Lucio Caracciolo su Limes nel 2010 riconosceva che Berlusconi non soffriva “dei complessi d’inferiorità dei suoi predecessori verso tedeschi e francesi”. Questi “hanno sempre osservato con benevolenza il nostro europeismo, perché comportava la rinuncia a difendere i nostri interessi nazionali postulandone l’identità con un fantomatico interesse europeo”. Uno schema con cui Berlusconi ha più volte rotto aprendo, tra le altre cose, a più occasioni di riflessione profonda per il Vecchio Continente e la sua leadership. Molti nodi sono venuti al pettine. E molti potrebbero venirne ancora. Il tema dell’ambiente, ad esempio, è stato promosso con attenzione da Berlusconi assieme alla politica industriale per la transizione energetica rifiutando strappi radicali su temi come l’auto elettrica, la messa al bando di dispositivi inquinanti e l’europeismo “dirigista” di Bruxelles fatto a colpi di veti e bandi postulandone la distanza dall’idea di Europa che ha avuto sempre in mente. Un’Europa popolare e ambiziosa. Fatta dai suoi popoli, dai suoi Stati, dai suoi attori economici, non nelle rigide torri d’avorio di Bruxelles. Spesso così lontane dal sentire comune delle popolazioni.
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