La Wagner è arrivata a essere conosciuta al grande pubblico in Europa (e nella stessa Russia forse) soltanto negli ultimi mesi, con l’avanzata dei contractor agli ordini di Prigozhin nell’area del Donbass. Ma la compagnia privata di combattenti esiste da almeno un decennio. E il suo nome non è certamente legato solo alla guerra in Ucraina. Anzi, nell’attuale conflitto all’inizio sembrava quasi che la Wagner non dovesse nemmeno entrarci. Solo a gennaio, con il contributo decisivo dei propri miliziani nella conquista della cittadina di Soledar, Prigozhin e i suoi hanno iniziato a ottenere maggior spazio mediatico.
Dopo l’avanzata di sabato terminata a 200 (ma forse in realtà anche 350) km da Mosca, sono tanti gli interrogativi sul futuro della compagnia. Dmitri Peskov, portavoce del Cremlino, ne ha annunciato lo scioglimento in base agli accordi mediati dal presidente bielorusso Lukashenko. Uno scenario che potrebbe essere verosimile in Ucrain. Diversa invece è la situazione in Africa, qui dove la Wagner non solo è ben presente da anni, ma rappresenta la longa manus del Cremlino in tutti quei Paesi dove la diplomazia russa si è mostrata di recente molto attiva. Difficile quindi al momento capire cosa accadrà. Se cioè Mosca rinuncerà ai rapporti faticosamente costruiti nel continente africano. E se, soprattutto, realmente della Wagner da adesso in poi il Cremlino ne farà a meno.
Cosa prevedono gli accordi tra Prigozhin e il Cremlino
Non sono stati resi noti i dettagli dell’accordo mediato sabato pomeriggio da Lukashenko. Al momento, le uniche certezze riguardano il fatto che il presidente bielorusso ha rivendicato una mediazione tra Mosca e Prigozhin. Con quest’ultimo che ha accettato di fermare l’avanzata in cambio di alcune promesse da parte del Cremlino. Qualche dettaglio è uscito fuori con le dichiarazioni di Peskov, il quale ha parlato del lasciapassare per Prigozhin verso Minsk, della smobilitazione della Wagner e della possibilità dei suoi membri, almeno quelli che non hanno appoggiato la rivolta dell’ex cuoco di Putin, di essere assorbiti dall’esercito russo.
Quest’ultima circostanza può esser vera per chi ha operato negli ultimi mesi in Ucraina e ha conosciuto soltanto il fronte ucraino. Si tratterebbe di un passaggio di divisa e poco più: da quella della milizia privata a quella dell’esercito regolare. Diverso il discorso invece per chi opera in Africa. Dalla Libia al Mali, passando per il Sudan, la Repubblica Centrafricana e il Mozambico, qui la Wagner è presente da diversi anni e non si occupa solo dell’aspetto militare. Gestisce risorse, ha i propri uomini nei giacimenti di petrolio della Cirenaica, così come nelle miniere del Sudan e della Repubblica Centrafricana. Difficile pensare che i miliziani qui presenti rinuncino all’attuale status quo. Cambiare divisa vorrebbe significare perdere quanto costruito negli ultimi anni.
La Wagner opererà in autonomia?
Voci tra i corridoi diplomatici da sabato parlano di un punto di compromesso raggiunto negli accordi mediati da Lukashenko. In particolare, Prigozhin avrebbe ottenuto la possibilità di gestire in modo autonomo i dossier africani. Non tanto probabilmente da un punto di vista politico, quanto economico e nella gestione delle risorse.
La società potrà cioè, se questo accordo fosse vero, continuare a ricavare introiti dai tanti affari in Africa. Così come evidenziato da Daniele Raineri su Repubblica, c’è una profonda base logica dietro questo tipo di compromesso: Prigozhin avrebbe la sicurezza di poter contare su introiti certi e sicuri per continuare a pagare chi non vorrà passare tra le braccia dell’esercito russo. Tra chi quindi, improvvisamente rimasto senza denaro, potrebbe anche pensare a un colpo di mano interno alla Wagner.
Un filo difficile da spezzare
Ma è proprio su questo punto che aumentano le incognite. In particolare, se davvero alla Wagner verrà accordata mano libera in Africa, allora la compagnia non potrà considerarsi sciolta. Al contrario, continuerà ad operare nel continente africano come nell’ultimo decennio. Il tutto contravvenendo a uno dei punti elencati ufficialmente da Peskov sabato scorso, secondo cui invece lo scioglimento della Wagner è alla base dell’accordo trovato per fermare l’avanzata su Mosca.
Non solo, ma se la compagnia dovesse gestire in modo sempre più autonomo gli affari africani, allora verrebbe meno per Mosca quella longa manus che le ha permesso di stringere accordi con molti governi del continente. Il Mali ad esempio, Paese che all’Onu è tra i pochi a votare con la Russia nelle risoluzioni sulla guerra in Ucraina, nell’ottica di un’emancipazione dall’influenza francese ha chiesto al Cremlino di inviare i contractor per il controllo di parti del territorio. Cosa accadrà quindi se Wagner e Mosca fossero due entità distinte?
Il filo che lega l’agenzia privata con il governo russo e con Putin in particolare, è tanto sottile quanto vitale. Appare quindi molto difficile spezzarlo. La Wagner, senza un collegamento con le politiche di Mosca in Africa, non avrebbe le giustificazioni e le tutele politiche per rimanere. La Russia, senza i miliziani di Prigozhin, non potrebbe portare avanti i propri programmi nel continente africano. Forse, tanto a Mosca quanto a Minsk, dove dovrebbe trovarsi Prigozhin, si aspetta soltanto che passi il tempo necessario per sanare le ferite prodotte dall’azione di sabato. E rendere così il giorno più surreale vissuto dalla Russia negli ultimi anni come un lontano ricordo.
FONTE: https://it.insideover.com/guerra/cosa-rischia-la-wagner-in-africa-dopo-la-rivolta-in-russia.html
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