La Siria torna a essere un membro della Lega Araba. Una circostanza che fino a poche settimane fa sembrava molto lontana. Damasco è stata espulsa dal club dei Paesi arabi nel 2011, all’indomani dell’inizio del conflitto civile che ancora oggi continua a colpire duramente il territorio siriano. All’epoca il dito è stato puntato sulla repressione operata dal presidente Bashar Al Assad contro l’opposizione. Ma ben presto, tra le file dell’opposizione, sono spuntate sigle islamiste e jihadiste in parte sostenute da alcune delle potenze arabe regionali.
Non è per questo però che si è deciso per un reintegro della Siria nella geografia politica mediorientale. Non è cioè per un ripensamento su Assad o sui gruppi islamisti che oggi si sta assistendo a questa svolta. Sono cambiate molte condizioni, c’è una nuova era nei rapporti tra i due principali Paese dell’area, ossia Arabia Saudita e Iran. E poi, soprattutto, c’è l’insostenibilità di vedere dopo tanti anni Damasco come un buco nero tra medio oriente e Mediterraneo.
Il lento percorso di “riabilitazione” della Siria
Il primo vero elemento che ha permesso il reinserimento di Damasco nella Lega Araba, è legato alla sopravvivenza stessa del governo di Assad. La guerra non è finita e non tutto il territorio è nelle mani dell’esercito regolare, ma il presidente siriano il conflitto lo ha vinto. A Damasco, così come ad Aleppo, Hama, Homs, Latakia e tutte le altre città principali il suo governo non ha più forze di opposizione armate che lo contrastano. Pur permanendo condizioni di guerra a bassa intensità , è impossibile immaginare una Siria senza Assad al potere in questa fase.
Il contesto militare ha quindi aiutato. Dal 2015 in poi, con l’appoggio sul campo della Russia, lo Stato siriano guidato da Assad ha blindato le sue istituzioni e ha ripreso il controllo delle regioni principali. Nel 2018 ha iniziato a serpeggiare l’idea, all’interno delle cancellerie mediorientali, che non si poteva non dialogare con Assad. Il presidente siriano ha riallacciato i rapporti con il Sudan di Al Bashir, poi detronizzato dal golpe del 2019. Ma i primi a riavvicinarsi concretamente alla Siria sono stati gli Emirati Arabi Uniti. Da alcuni anni oramai è stato ripristinato il collegamento di linea tra Damasco e Abu Dhabi, lo stesso Assad si è recato un paio di volte nella capitale emiratina.
Nel 2021, nel corso del consiglio della Lega Araba di Tunisi, si è parlato per la prima volta concretamente di un reinserimento della Siria. Ma la questione è stata rinviata a data da destinarsi. Nel frattempo però, anche la Giordania ha normalizzato le relazioni e ha riaperto i posti di confine con la Siria. L’idea secondo cui, a prescindere dalle posizioni pro o contro Assad, occorreva reintegrare Damasco si è fatta strada fino al voto positivo arrivato nei giorni scorsi sulla mozione di reinserimento definitivo della Siria.
L’avvicinamento tra Riad e Teheran e il terremoto del 6 febbraio
L’accelerazione alla riabilitazione siriana si è avuta però soprattutto con il riavvicinamento tra Iran e Arabia Saudita. I due Paesi agli antipodi del medio oriente, uno sciita e l’altro sunnita, sono stati negli ultimi anni sull’orlo di una crisi bellica. In alcuni casi la guerra tra Teheran e Riad si è effettivamente combattuta, seppur sul terreno dello Yemen. Qui da un lato ci sono gli Houti, sciiti finanziati dall’Iran, dall’altro c’è il governo ufficiale yemenita sostenuto militarmente dai Saud.
In Siria, gli iraniani subito dopo i russi sono stati i primi alleati di Assad. Il perché è presto detto: il presidente siriano appartiene alla minoranza sciita ed è quindi più legato all’Iran. Teheran dal canto suo ha potuto usare Damasco per il progetto della cosiddetta “mezzaluna sciita“, il quale prevede un’area di influenza iraniana capace di estendersi fino al Mediterraneo passando per Baghdad, Damasco e Beirut. I sauditi invece hanno scommesso nel 2011 su una rapida caduta di Assad. Al pari di come fatto dal Qatar e dalla Turchia. Da allora sono arrivati finanziamenti a molte sigle dell’opposizione, spesso inquadrate in milizie islamiste.
A marzo però si è avuta un’importante svolta: con le mediazione della Cina, Iran e Arabia Saudita hanno avviato un percorso di normalizzazione delle relazioni. E la normalizzazione non può che passare anche da accordi relativi allo Yemen e alla Siria. La distensione tra Teheran e Riad ha contribuito a togliere ogni riserva circa il reinserimento del governo di Assad nel club dei Paesi arabi.
Non bisogna poi dimenticare un altro importante elemento: il terremoto del 6 febbraio scorso. Il sisma, con una magnitudo di 7.9 Richter, ha avuto sì epicentro in Turchia ma ha devastato soprattutto il nord della Siria. Zone già gravate dal conflitto e private adesso di ogni servizio basilare. La necessità di far giungere aiuti internazionali, ha contribuito al ripristino delle relazioni diplomatiche tra Damasco e diversi governi arabi.
L’occidente guarda a distanza
L’occidente in questa fase appare, nella migliore delle ipotesi, disinteressato alle novità emerse dal contesto siriano. Forse in parte ne è rimasto sorpreso. La posizione di Usa e Ue, unita a quella della Gran Bretagna, è semplice: nessun legame con Assad e nessuna possibilità quindi di togliere le sanzioni economiche rinnovate anno dopo anno dal 2012 in poi. La diplomazia occidentale continua quindi a non considerare l’attuale governo di Damasco, strettamente legato alla Russia, come interlocutore.
Disinteresse e sorpresa non bastano però a spiegare la posizione degli Stati Uniti e dell’Europa. C’è anche un altro aspetto da valutare: Washington soprattutto ha ancora molte carte da giocare in Siria, a partire dal fatto che truppe Usa continuano a essere presenti a supporto delle forze filo curde nell’est del Paese. Possibile quindi che, per non irritare l’alleato israeliano, il quale ha aumentato le sue incursioni in Siria contro le postazioni iraniane, i governi occidentali hanno preferito semplicemente astenersi. Davanti ai mutamenti politici in corso nel medio oriente, l’occidente si sta limitando a prendere atto della nuova situazione. Senza quindi impedire il repentino cambiamento degli assetti politici della regione.
FONTE: https://it.insideover.com/guerra/la-siria-riabilitata-all-interno-della-lega-araba.html
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