Il tramonto della dottrina Monroe: così Cina e Russia sconfinano in America

apr 5, 2023 0 comments


Di Emanuel Pietrobon

Gli Stati Uniti, sostiene il geopolitico anticonvenzionale Phil Kelly, sono il cuore della Terra di cui parlava Halford Mackinder nelle sue opere. Stesi su una prateria straordinariamente fertile, benedetti da un suolo e un sottosuolo ricchi di risorse naturali, dagli idrocarburi all’oro blu, e protetti da due oceani, godono di un isolamento geostrategico che ha loro permesso di svilupparsi in maniera pressoché indisturbata.

Non è fra Turkestan e Altaj che si trova il cuore della Terra, dice Kelly, ma da qualche parte tra Appalachi e bacino del Mississippi. E non sarà partorita dall’Eurafrasia, frammentata, vulnerabile ai divide et impera delle talassocrazie e in perenne guerra con se stessa, l’iperpotenza che siederà sul trono del mondo. Giacché il suddetto spetta a chi ha potestà sul cuore terrestre, ovvero gli Stati Uniti.

L’eterodosso Kelly è una lettura necessaria per chiunque voglia approfondire le basi del potere americano, che non potrebbe esistere senza il controllo delle grandi rotte del commercio marittimo globale – onere ereditato dall’Impero britannico –, senza il contenimento in una dimensione tellurica dei quattro cavalieri eurasiatici dell’Apocalisse – CinaGermaniaIndiaRussia – e, soprattutto, senza il mantenimento in uno stato di subalternità dei giocatori-chiave dell’Emisfero occidentale, la dottrina Monroe.

Dottrina Monroe che gli aspiranti all’egemonia globale hanno sempre sfidato, a partire dalla Francia di Napoleone III dalla Germania guglielmina, e che oggi è sotto assedio da parte di due dei Quattro cavalieri eurasiatici dell’Apocalisse, Cina e Russia, e di una costellazione di forze regionali ed extraregionali. Guerra mondiale in Latinoamerica.

America Latina, calderone del mondo

Dalla preservazione e dalla protezione della dottrina Monroe dipendono l’esistenza e la sopravvivenza del sistema egemonico globale costruito dagli Usa. Sfidarla equivale a colpire la cassa toracica. Sfregiarla significa aprire un varco in direzione del cuore terrestre, nella consapevolezza che la reazione dell’Aquila ferita potrebbe essere imprevedibile. Heartland per Heartland e il mondo diventa cieco.

La dottrina Monroe è ciò che ha reso gli Stati Uniti un impero emisferico, schermandoli dalle minacce provenienti dall’Eurafrasia, ed è questo il motivo per cui è stata l’attenzionata speciale degli aspiranti all’egemonia globale di ogni epoca: la Francia di Napoleone III, la Germania di Guglielmo II e Adolf Hitler, l’Unione Sovietica e, oggi, Russia e Repubblica Popolare Cinese. Ma sulla sua resistenza, affronti sistemici a parte, pesa anche l’arrivo nelle Americhe Latine di una serie di tornei di ombre maturati in Eurasia.


La fine della Guerra fredda non ha significato il trionfo della pace nelle vene aperte e sanguinanti dell’America Latina, ma il proseguimento della pirateria nei Caraibi, la continuazione delle guerre civili eterne nel mai quieto Mesoamerica e la proliferazione di nuovi antiamericanismi nel cono sud. Situazione peggiorata negli anni, di pari passo con l’aggravamento della competizione tra grandi potenze, che ha comportato l’entrata nel grande calderone iberoamericano delle più importanti rivalità dell’Eurasia.

Iraniani e israeliani si combattono nell’intero cono sud, dalla Guyana all’Argentina, rendendosi protagonisti di attentati eclatanti e lupare bianche. La loro rivalità ha lasciato a terra più di 130 morti e oltre 500 feriti tra Buenos Aires e Panama – il dimenticato siluramento dell’Alas Chiricanas Flight 901 –, ai quali andrebbe aggiunto l’omicidio del procuratore argentino Alberto Nisman. La loro rivalità è il contesto in cui vanno lette le messe al bando di Hezbollah nel subcontinente. Nella loro rivalità entrano in gioco quelle forze antistatali che sono i cartelli della droga latinoamericani, coi quali Hezbollah traffica stupefacenti, ricicla denaro e attraverso i quali entra in contatto con la politica.

Iraniani, turchi e sauditi gareggiano per l’egemonizzazione della umma latina, finanziando campagne di proselitismo, inaugurando moschee, scuole coraniche e centri culturali, e creando, laddove possibile, delle impermeabili enclavi religiose utili alla raccolta di intelligence e alla conduzione di traffici grigi. Li seguono a ruota, per ragioni simili ma con metodi ed esiti differenti, i capitani dell’Internazionale jihadista, da Al-Qāʿida allo Stato Islamico, che sono presenti da Città del Messico alla Triplice Frontiera.

Primakov contro Monroe

La Russia avrebbe potuto riscrivere il finale della Guerra fredda, ritrovando un posto onorevole al tavolo dei grandi del mondo, soltanto (ri)volgendo lo sguardo al Sud globale e lavorando con esso al superamento del Momento unipolare. Di ciò era convinto Evgenij Primakov, il teorico della Transizione multipolare, al cui corposo bagaglio di spunti e visioni ha attinto Vladimir Putin con l’entrata dell’umanità nel Duemila.

Scrivere di Russia nell’Emisfero occidentale equivale a parlare di Primakov. L’aspirante eminenza grigia di Boris Eltsin, da questi poi silurato durante la crisi iugoslava del 1999, che nel 1997 ideò e guidò un tour latinoamericano – il primo per un governo russo dalla fine della Guerra fredda – allo scopo di riaffermare la presenza di Mosca nel giardino di Washington. Una risposta, per Primakov, alla presenza “degli americani nel Caspio, Asia centrale e Comunità degli Stati Indipendenti”.

Con la conclusione prematura dell’era Eltsin, prepensionata dal redivivo stato profondo l’ultima sera del 1999, sarebbe stato Putin a prendere in mano il dossier Latinoamerica in accordo coi contenuti della cosiddetta “dottrina Primakov“. Parole d’ordine, perlomeno inizialmente – in ragione della priorità data al ripristino delle relazioni con l’Occidente –, moderatezza e proporzionalità.

Vladimir Putin con il presidente brasiliano Lula nel 2010. Foto: Epa/Sergei Ilnitsky.

Il Pivot to Latin America della presidenza Putin è stato ispirato dalle idee di Primakov, ma aiutato dai lasciti materiali e immateriali dell’età sovietica: dagli avamposti filorussi a Cuba e in Nicaragua al serpeggiamento dell’antiamericanismo in ampi segmenti sociali, politici e militari. Lasciti ai quali è stato dato nutrimento e che hanno portato alla formazione di assi resistenti alle pressioni della sovrastruttura – la dottrina Monroe –, come con Argentina, Brasile e Venezuela, e alla conduzione di interventi ibridi, come l’invio di specialisti in controinsurrezione a Daniel Ortega e a Nicolás Maduro all’acme delle proteste telecomandate che hanno rischiato di travolgerli.

Il tempo ha ampiamente ripagato gli investimenti del Cremlino nel giardino della Casa Bianca. I sogni neobolivaristi sono morti con Hugo Chávez, ma il nuovo ordine venezuelano è sopravvissuto al suo fondatore e sussistono segnali di una possibile rottura del cordone sanitario nel cono sud. Il formato Brics ha superato l’assenza del PdL in Brasile, è in procinto di essere allargato ad Argentina e Bolivia, dove al potere sono tornati i filo-Morales dopo il golpe filoamericano del 2019, e sta adoperandosi per imprimere una svolta alla dedollarizzazione dei commerci internazionali e intramericani.

La storia ha dato ragione a Primakov. Perché quello che ha ivi ottenuto la Russia dell’era Putin, esportatrice di rilievo di prodotti militari – capace di guidare periodicamente la classifica dei principali fornitori di armi della regione –, tutrice di governi fantoccio e titolare di basi per la raccolta di intelligence – in Nicaragua, in Venezuela e a Cuba, dove si vocifera dall’inizio Duemila del rientro in funzione della base di Lourdes –, è la dimostrazione plastica della lenta liquefazione della dottrina Monroe.

Lo stato di crisi della dottrina Monroe, mai completamente ripresasi dai traumi della Guerra fredda – la grande guerra civile mesoamericana, la stagione delle dittature militari, i morti e i desaparecidos –, è stato riconfermato durante la guerra in Ucraina, quando il giardino di Washington per antonomasia ha rifiutato in blocco di inviare armi a Kiev, di applicare sanzioni a Mosca e si è rivelato, stando a indagini osint, una delle regioni del Sud globale più simpatetiche verso la narrazione russa.

Latinoamerica, periferia della Terra di mezzo

Una minaccia emisferica ed un competitore strategico. Dominio commerciale, acquisizioni strategiche, controllo di infrastrutture vitali e obiettivi di lungo termine rendono la Repubblica Popolare Cinese, agli occhi degli Stati Uniti, una minaccia emisferica ed un competitore strategico – due definizioni coniate ed utilizzate negli ambienti politico-militari.

I numeri dell’agenda latinoamericana di Pechino suggeriscono, effettivamente, l’esistenza di una sfida senza precedenti al consolidato dominio egemonico di Washington:

  • L’interscambio Cina-Latinoamerica è aumentato dai 12 miliardi di dollari del 2000 ai 450 miliardi del 2021; cifre che, nel 2022, la rendevano il secondo partner commerciale dell’intera regione, ma il primo di nove paesi e del cono sud;
  • Tre paesi latinoamericani hanno accordi di libero scambio con la Cina;
  • Sette paesi latinoamericani hanno dato vita a dei partenariati strategici globali con la Cina;
  • Undici le visite ufficiali di Xi Jinping nella regione dal 2013 al 2021;
  • Ventuno paesi latinoamericani hanno sottoscritto documenti di adesione e/o di collaborazione alla realizzazione della Belt and Road Initiative;
  • 137 miliardi di dollari concessi in prestito ai governi latinoamericani nel periodo 2005-2020 dalla Banca di Sviluppo della Cina e dalla Banca per l’Import-Export della Cina;

I numeri di cui sopra, oltre che di una minaccia emisferica, parlano della Cina come di una potenza extra-regionale che, secondo il centro studi del Liechtenstein, avrebbe risorse sufficienti da alterare in maniera permanente il quadro geoeconomico e geopolitico del Latinoamerica, nel quale, a condizione di espressa volontà politica da parte del Pcc, potrebbe dare forma ad una coesistenza competitiva con gli Stati Uniti.

Che Pechino, nonostante la contrarietà di Washington, sia diventata una potenza extraregionale con un Interesse (permanente?) nella regione lo dimostra anche il fatto che, cifre su commercio ed investimenti a parte, è entrata nei consigli della Banca di Sviluppo Interamericana e della Banca di Sviluppo dei Caraibi in qualità di membro con diritto di voto.

Il ministro degli Esteri honduregno Eduardo Reina stringe la mano alla sua controparte cinese Qin Gang durante la cerimonia per l’apertura delle relazioni diplomatiche tra Pechino e Tegucigalpa. Foto: Epa/Mark R. Cristino.

L’economia per influenzare la politica. La politica per sfidare la dottrina Monroe e la dottrina delle due Cine. Investimenti in infrastrutture strategiche e miniere di preziosi e metalli rari per minare l’egemonia globale degli Stati Uniti. La pazienza strategica dell’homo sinicus e la distratta miopia dell’homo americanus come migliori amici della Sinoamerica.

Imperscrutabilità e costanza hanno premiato la grand strategy per l’Emisfero occidentale della Cina. La legittimità internazionale di Taiwan è appesa a un filo, che la pioggia di disconoscimenti dei paesi latinoamericani ha contribuito ad accorciare notevolmente e che potrebbe subire nuovi tagli – 8 dei 14 paesi che ancora riconoscono Taipei si trovano nel subcontinente, uno dei quali ha avviato le pratiche per il passaggio all’una sola Cina nel marzo 2023, l’Honduras, mentre i restanti sette sono tentati dalle promesse di aiuti, commerci, investimenti e prestiti.

La competizione sinoamericana dilaga fra le miniere di metalli preziosi e terre rare e i cantieri di grandi opere e infrastrutture strategiche, ma le pressioni degli Stati Uniti non sortiscono sempre, comunque e ovunque l’effetto desiderato. Perché se è vero che il Cile ha abbandonato l’idea del cavo sottomarino Valparaiso-Shanghai, lo è altrettanto che il Brasile è stato il primo ricettore degli investimenti diretti all’estero della Cina nel 2021 ed è l’hub regionale di Huawei, che il Perù ha venduto ad acquirenti cinesi la più grande compagnia elettrica nazionale nel 2020 e che nel Triangolo del litio si parla sempre più mandarino e sempre meno inglese.

La dottrina Monroe alla prova del XXI secolo

L’offerta di un’ampia gamma di beni a basso costo, l’utilizzazione intelligente della finanza umanitaria e della cooperazione allo sviluppo e strategie di proiezione del potere morbido hanno permesso a Pechino di proporsi come un’alternativa valida agli occhi dei latinoamericani. I risultati, visibili, tangibili e quantificabili, sono stati una valanga di passaggi alla politica dell’una sola Cina, l’ingresso in settori sensibili per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti – come i porti strategici del Mesoamerica –, l’aumento della longevità dei governi antiamericani e l’apertura di centri di raccolta dati dalle potenzialità militari, due dei quali in Cile e in Argentina.

La Russia ha capitalizzato il legato sovietico di potenza proletaria e anticoloniale e investito nella proiezione di potere morbido, trovando una sponda fondamentale nella Cina e riuscendo a magnetizzare nella coalizione antiegemonica la Chiesa cattolica post-giovannipaolina, che, disillusa verso gli Stati Uniti a causa del loro ruolo dietro la protestantizzazione dell’America Latina, siede oggi in prima fila nel boicottaggio di quelle forze politiche che sono espressione di evangelici e pentecostali, elettori ostinatamente filoamericani. L’incontro tra i due papi all’Avana del 2016 come atto fondativo dell’Intesa russo-romana per la Transizione multipolare.

Anarchia produttiva – come in Nicaragua e Venezuela –, colpi di stato – come Bolivia ’19 –, sedizioni – come Brasile ’23 –, riapertura di dispute territoriali irrisolte – come le Malvine/Falkland –; tutto è da leggere e inquadrare all’interno della competizione tra grandi potenze, della quale uno dei capitoli più importanti è il latinoamericano. Lo dimostrano i tanti parti del suo ventre fertile: la Great American Depression alimentata da PCC, Triadi e Narcos messicani, l’aumento dell’accerchiamento diplomatico di Taiwan, la mancata partecipazione alla guerra in Ucraina, l’adesione alla lotta per la dedollarizzazione e la lenta diffusione di avamposti simil-militari, da Managua ad Ushuaia.

Guerra mondiale in Latinoamerica. La volontà di Washington di recuperare l’influenza diminuente nell’Emisfero occidentale sarà suscettibile di produrre golpe morbidi o duri, anarchia produttiva, insorgenze, rivoluzioni colorate, interferenze elettorali e, come extrema ratio, interventi militari chirurgici in stile Urgent Fury. Le reazioni dell’asse Mosca-Pechino saranno uguali e contrarie, dalle operazioni di destabilizzazione ibrida alle iniziative diplomatiche (l’arrivo della Pax Sinica nel subcontinente?), passando per spinte alla dedollarizzazione e intese militari. La dottrina Monroe alla prova del XXI secolo.

FONTE: https://it.insideover.com/politica/tramonto-dottrina-monroe-cina-russia-sconfinano-america.html

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