La pandemia da Covid-19, prima, e lo scoppio della guerra in Ucraina, poi, hanno costretto ancora una volta l’Europa a interrogarsi sulla propria postura internazionale e sul rapporto con Washington in fatto di Difesa, politica e – ovviamente – rapporti economici. Un dilemma antico, che perdura dal secondo conflitto mondiale e che si palesò in tutta la sua gravità quando nel 1954 la proposta di una Comunità europea di difesa andò in fumo di fronte alle resistenze della Francia.
Un rapporto altalenante
Un rapporto altalenante che, pur non mettendo in discussione il credo dell’atlantismo, negli ultimi tre anni è stato messo a dura prova. Di certo, la frammentazione europea non giova a una scelta definitiva, così come la perdurante assenza di un leader continentale che faccia le veci di tutti e che sia il “numero da chiamare per parlare con l’Europa”, come amava ricordare Henry Kissinger. Eppure, ad osservare da vicino l’incontro tenutosi tra Ursula von der Leyen e Joe Biden a Washington sembrano non esserci dubbi sull’idea di una cooperazione che resiste e che si rinsalda su temi come i minerali critici, indispensabili per la transazione verso l’energia pulita e per ridurre la dipendenza dalla Cina. Al centro del colloquio tra i due leader anche l’Inflation reduction Act, sul quale “si auspica di trovare un terreno comune”.
Due temi centrali sia per l’Europa – impastoiata nei legami economici con la Cina – che per gli Stati Uniti, che sembrano eleggere, tra l’altro von der Leyen a vero rappresentante politico d’Europa, nel ruolo che soffre del ritiro di Angela Merkel e dello stallo politico nel quale annaspa Emmanuel Macron. Proprio quest’ultimo si è mostrato da sempre un paladino dell'”interesse nazionale” europeo, fin dai tempi del suo discorso alla Sorbona nel 2017. In quell’occasione il presidente francese propose una forza di intervento militare comune in Europa e un bilancio della Difesa condiviso fra i partner europei. Ma anche una polizia europea delle frontiere e un ampio programma di integrazione e protezione dei rifugiati.
Il gelo dell’era Trump
L’amministrazione Trump aveva allarmato il vecchio continente quando, nel luglio del 2018, aveva spiazzato l’Alleanza Atlantica chiedendo agli Alleati di stanziare il 4% del Pil nazionale alle spese per la Difesa. Al centro del mirino americano c’era soprattutto la Germania, accusata di pagare troppo poco per la sua Difesa: “Questi Paesi hanno iniziato ad aumentare le loro spese per la difesa da quando io sono presidente – tuonò Trump su Twitter – ma la Germania spende l’1% e gli Stati Uniti il 4%, e l’Europa beneficia delle Nato molto di più degli Stati Uniti”. Le tensioni sul Nord Stream fecero il resto.
Se però in passato Washington aveva raffreddato il legame con l’Europa, accusa rivolta anche al presidente Biden sino allo scoppio della Guerra in Ucraina, gli ultimi 12 mesi rendono l’Europa necessariamente legata a doppio filo agli Stati Uniti. Un legame che forse la stessa Casa Bianca auspicava di allentare per questioni di spending review e per tenersi le mani libere altrove, ma che le contingenze geopolitiche hanno costretto a potenziare. Del resto, le due visite di Biden in Europa nel giro di così pochi mesi, ed in particolare la missione lampo a Kiev hanno fugato qualsiasi dubbio sul disimpegno Usa nell’area.
Il dibattito europeo sull’autonomia strategica
E l’Europa? Esattamente come è accaduto per mascherine e vaccini, ha proceduto alla rinfusa anche nel sostegno a Kiev, con un sostegno umanitario, militare ed economico a macchia di leopardo che ha risvegliato vecchie rivalità e acredini mai sopite. Una gazzarra di fronte alla quale la NATO ha ritrovato ragion d’essere, non fosse altro che per disciplinare il da farsi.
L’Europa dipende dagli Stati Uniti per la sua sicurezza dal 1945. Anche con la fine della Guerra Fredda, non era disposta a investire nelle capacità per garantire la propria sicurezza comune. Oggi, tuttavia, il dibattito sull’autonomia strategica europea è più vivace che mai. I suoi sostenitori e detrattori si scontrano regolarmente su quanto il continente guadagnerebbe o perderebbe raggiungendola: chi sostiene però l’allentamento del rapporto con gli Stati Uniti è dimentico del fatto che la sicurezza ha un prezzo è che autonomia significa premere per un decisivo aumento delle spese per difesa e sicurezza all’interno dei Paesi membri, nonché la necessità di una concertazione a 27 su questa materia.
La sicurezza europea: una questione di budget
Alla luce di questo, alcuni Stati membri come la Germania, hanno abbandonato la propria lunga tradizione di spese militari limitate impegnandosi ad aumentare il proprio budget per la difesa di svariati miliardi di euro. L’Unione europea ha adottato diversi strumenti per sostenere i suoi Stati membri negli sforzi congiunti di approvvigionamento militare e nello sviluppo di progetti di difesa comuni: nel suo discorso sullo stato dell’Unione, lo scorso anno, proprio la presidente von der Leyen aveva annunciato la creazione del Fondo di sovranità europeo, atto ad aumentare le principali capacità di difesa europee, come i sistemi di difesa aerea, i sistemi di difesa aerea portatili ( Manpad) e munizioni. Ma questo non sembra bastare: le donazioni di sistemi d’arma all’Ucraina o di mezzi come i famigerati Leopard, ha mostrato come parte dell’equipaggiamento europeo sia obsoleto e da rottamare. L’autonomia strategica è anche questione di volontà : le tensioni con Washington circa l’intervento in Afganistan furono l’espressione paradigmatica della la perenne debolezza dell’Ue: desiderosa di impegnarsi nell’autonomia strategica, ma attratta dalla sicurezza a buon mercato, anche se ciò significa continuare a fare affidamento sugli Stati Uniti, come rivela l’attuale crisi russo-ucraina. Senza dimenticare, poi, come la Brexit abbia reso il compito europeo ancora più difficile.
Dove va la “Bussola strategica”?
Quasi un anno fa l’Unione approvava, in questa direzione, lo Strategic Compass. Un ambizioso piano d’azione per rafforzare la politica di sicurezza e di difesa dell’UE entro il 2030. Tale bussola punterebbe verso quattro direzioni principali: azione, sicurezza, investimenti e partner. Nel progetto l’Unione intende creare una nuova forza di prima entrata capace di dispiegare rapidamente fino a 5.000 unità in vari scenari di crisi. Tale forza dovrà essere in grado di impiegare simultaneamente assetti terrestri, navali e aerei degli Stati membri sotto un unico comando europeo. Il 2023 costituisce un crocevia fondamentale per l’autonomia strategica europea: molti dei risultati della bussola sono, infatti, previsti quest’anno, tra cui regolari esercitazioni, la strategia di difesa spaziale dell’Ue e nuove soluzioni di finanziamento per l’acquisizione congiunta di capacità di difesa. Ma se il sentimento che trasuda dai movimenti tra Washington e Bruxelles è quello di un abbandono dell’aspirazione all’autonomia, altrove nel Mondo (si pensi al Sahel o al Maghreb) persistono tante altre sfide geopolitiche non prioritarie per gli Stati Uniti che l’Europa rischia di perdere facendo affidamento esclusivo al traino atlantico.
FONTE: https://it.insideover.com/politica/autonomia-o-orbita-usa-la-sfida-delleuropa.html
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